L’IMMORALITÀ DI UNA VOLTA... (REPLICA)
...E l’immoralità del Duemila?

Negli ultimi numeri de il foglio (276, 277, 278) ho cercato di sfatare il luogo comune «una volta si stava meglio» e «bisogna tornare ai valori dei nostri avi». Questo tuttavia non significa che ora non ci sia bisogno di valori, di indicazioni orientative per la nostra vita. Quelli che sembravano i valori emergenti tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta sono stati spazzati via dal brigantismo, dal consumismo e dal wojtylismo. Si ha l’impressione che, mentre nei primi decenni del dopoguerra c’è stato un progresso, nell’ultimo quarto del secolo la qualità della vita sia arrivata ad una posizione di stallo e di regresso. Una moderata diffusione di elettrodomestici e di mezzi di trasporto contribuisce alla liberazione umana; oltrepassato un certo limite, l’abbondanza ingenera malessere. E lo stesso accade dopo che i vecchi valori sono stati soppressi, lasciando semplicemente il vuoto. Esaminiamo alcuni aspetti del problema. 

Dai miti sanguinari ai miti banali.

Del mito di un Dio «Padre e Padrone» è rimasta solo qualche traccia: battesimo, matrimonio e funerale religioso...; oppure ad esso si è sostituito il nulla (scelta coraggiosa); oppure un prodotto orientaleggiante di importazione; oppure l’aggiornamento degli idoli decrepiti del denaro, della produzione e del consumo.

Al mito «Famiglia» si è sostituito il sesso «usa e getta», la dittatura mediatica dei belli e delle belle, l’autoritarismo soffocante del pecorismo giovanile e non.

Al mito «Patria» si è sostituita la ricerca ossessiva e patologica della identità: la Padania, gli Ultras, il Branco, la ricompattazione come difesa verso tutto ciò che viene percepito come diverso.

Al mito «Onore» si è sostituito il mito dell’eterna Bellezza e Gioventù col conseguente Rifiuto viscerale dell’invecchiamento (prevalentemente tra le donne) ed il mito delle Prestazioni nel Lavoro e nel Sesso (prevalentemente, tra i maschi).

Al mito «Obbedienza» dei figli verso i genitori si è sostituita l’Obbedienza di segno contrario: «Papà, comprami la Play station, il motorino, il capo firmato: ce l’hanno tutti!». L’obbedienza di tipo militare, dopo un lungo periodo di crisi, sta rialzando la cresta: le polizie pubbliche e private, il militare come tecnico, le guerre umanitarie ed intelligenti.

Al mito del «Sacrificio» si è sostituito un consumismo forse ancora più esigente e severo della vecchia «Parsimonia». Non è una lamentela moralistica, è un dato di fatto. Molti studiosi denunciano le sofferenze causate dalla ricchezza debordante. Tutti lo sanno, tutti vedono che Il Re Consumista è nudo, che il denaro (oltre un certo limite, superato da trent’anni) è dannoso. Nessuno osa confessarlo e quasi tutti si sacrificano oggi per potersi sacrificare molto di più domani. E le persone più pronte ai riti consumistici sono quelle che, in gioventù, sono state educate ai “valori forti” dell’Islam o del comunismo. Alla tirannia dell’ideologia si sostituiscono nuovi sacrifizi che passano sotto il nome di «edonismo» e «libertà».

Riceverete il centuplo, su questa terra!

«Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non ricava già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi» (Marco, 10, 29-30). Gesù ci invita dunque a rompere le relazioni più strette per riacquistarle in forma più autentica.

Dal Dio padrone al Dio servo, al Dio amico. L’annunzio evangelico come «bestemmia per ogni religione e sorpresa per ogni sua negazione... Rivedere a fondo l’immagine che il religioso attribuisce a Dio negandola all’uomo e che l’ateo attribuisce all’uomo negandola a Dio». (Fausti, “Elogio del nostro tempo”, Piemme 1999, pp. 90, 68).

Dalla famiglia istituzionale ad una reinvenzione dei ruoli. Non è più il tempo di «crescete e moltiplicatevi» e neppure «Tu partorirai con dolore, tu lavorerai con sudore». Gli umani si sono fin troppo moltiplicati, il lavoro (in casa e fuori) si è alleggerito, la divisione dei ruoli non è netta. La sessualità, slegata dalla procreazione, può assumere forme che, una volta, in un diverso mondo «naturale», potevano essere «contro natura». Anche la sterile (Sal 113, 9), anche l’eunuco (Is. 56, 4-5), possono trovare una casa, una fecondità, una dimensione sessuale. Gli omosessuali non sono più dei mostri. La donna può essere una rivale sul lavoro, ma anche un’amica; anzi la scoperta della peculiarità e della fecondità dell’amicizia donna-uomo può essere uno dei punti forza della nuova famiglia umana. In tutto ciò non possiamo trovare regole precise ed eterne: l’unico criterio guida è «cerca di comunicare gioia e non sofferenza». A rifletterci, è un criterio nuovo e molto impegnativo, se preso sul serio.

Dalla piccola e meschina patria alla patria planetaria. Il nostro giardino non è stato né custodito né coltivato (cfr. Gen. 2, 15); è stato consegnato (tradito) ai predatori. Se non provvederemo in tempo, questa generazione perversa passerà alla storia della nostra Terra come la generazione dei traditori della Patria, a cominciare da quelli che parlano tanto di patria.

Dall’onore ridicolo e patetico che protegge i miei diritti e le mie cose alla tutela di ciò che in me c’è di autentico, di umano. Come dice il filosofo agnostico Savater «Subire un’ingiustizia lede i miei diritti ma commetterla sfigura il mio essere... preferiamo perdere noi stessi piuttosto che perdere le cose... Nella lotta infinita contro il dolore umano, l’amor proprio non si preoccupa di preservarsi in alcun modo» (Savater, “Etica come amor proprio”, Laterza 1994, pp. 97, 98, 125).

Dalla considerazione dell’obbedienza come virtù a considerarla come vizio, dall’obbedienza ai superiori a quella verso coloro che sono privi di autorità e di protezione. Un’obbedienza alla propria coscienza, un’obbedienza alle leggi che tutelano la salute del pianeta. Un’obbedienza che si esprime nella disobbedienza.

Dall’ascetica a mistica del Sacrifizio alla gioia di persone libere. La gioia di avere capito che cosa nella vita è importante fa apparire irrilevante tutto il resto: il denaro è ridicolo, i ricchi degni di infinita pietà. Chi constata di poter fare a meno di molte cose si sente la persona più ricca del mondo.

Insieme a persecuzioni...

Il Vangelo di Marco (10, 30) aggiunge che «il centuplo» sarà ottenuto anche attraverso persecuzioni.

Purtroppo, in ognuno di noi, è ancora vivo e vitale il germe dell’autodistruttività. Il numero di suicidi è quattro volte quello degli omicidi; ancora più alto è il rapporto tra quelli che torturano ed avvelenano se stessi (col fumo, col cibo, con gli psicofarmaci, con lo stress) e quelli che così fanno con gli altri. Quanti sono poi quelli che sequestrano se stessi e si gettano in un carcere duro fatto di fobie, di depressione, di angoscia?

Noi non vogliamo essere liberati dal dolore e, soprattutto, non ammettiamo di non volerlo. Non siamo mica dei ritardati mentali, o dei pazzi furiosi, o dei perversi!!! E se qualcuno ci dà qualche suggerimento per uscire dalla prigione, lo consideriamo un mortale nemico. L’adesione ai vecchi valori “forti”, così come quella agli odierni valori “deboli”, serve a mantenerci prigionieri.

Per un credente, alla base di tutto sta l’immagine di Dio, del Benedetto che ha dovuto «morire da maledetto per dire come è maledetta la nostra immagine di lui... La salvezza, per tutti e per sempre, non è forse dalla croce di chi dà la vita per chi lo uccide? Che la seconda venuta del Signore non sia come la prima? Gli si scaglieranno contro dicendo: è pazzo, uccidiamolo!» (Fausti, op. cit., pp. 86, 144).

Ora, per fortuna, non si uccidono più i dissidenti. Li si ridicolizza, li si condanna all’isolamento. Ed il “dissidente” tende anche ad isolarsi chiudendosi in una torre d’orgoglio e disprezzando gli altri. Chi si sente, in qualche misura, “diverso” dagli altri, tende a coltivare con compiacimento questa sua supposta “diversità”; prima o poi, cade nella trappola della presunzione e dell’intolleranza e da potenziale perseguitato si trasforma in potenziale persecutore. «La tolleranza ha il suo banco di prova con gli intolleranti. Qui non basta un semplice atteggiamento intellettuale: è un impegno che testimonia la stima dell’altro e la sua accettazione come valore assoluto, che vale la propria vita... Una tolleranza che non sfoci in carità o martirio potenziale, sa piuttosto di disprezzo intellettuale... La nostra tolleranza ha una radice precisa: la coscienza del peccato e del perdono comune, che impedisce di giudicare sé stesso e l’altro, e si manifesta come capacità di tolerare, cioè di portare il peccato del mondo, come l’Agnello di Dio (Giov. 1, 29). Tolleranza è “portanza”, forza di assumere su di sé il male e così di vincerlo» (Fausti, op. cit., p. 131).

Ma Chi ha tanta potenza di amore da esporsi alle persecuzioni?

Eppure non ci sono molte alternative. C’è chi emette lamenti ed invoca la restaurazione dei vecchi (ed antiumani) “valori”. C’è chi si intruppa e segue l’andazzo presente. Ma c’è anche la possibilità di vivere il presente come una sfida, come un mestiere impegnativo, come il nostro kairòs.

Dario Oitana


 
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