Editoriale |
L’attuale e acceso dibattito in campo scientifico e bioetico circa le biotecnologie ci pare riguardi principalmente tre ambiti: la sperimentazione più in generale, le cellule staminali e gli organismi geneticamente modificati (Ogm). Riteniamo che i presupposti ed i principi che reggono il discorso siano e debbano essere i principi classici della bioetica: 1) Principio di non-maleficità (sbrigativamente, non fare il male, definito per consenso etico universale, democratico e pluralistico, e non autoritariamente e paternalisticamente da una istituzione particolare), 2) Principio di beneficità (proveniente dalla tradizione medica e relativo al bene del paziente), 3) Principio di autonomia (informazione, consenso, libertà; proveniente dalla tradizione giuridica e relativo ai diritti dei malati), 4) Principio di giustizia (proveniente dalla tradizione politica e relativo al bene dei terzi). Non sono in ordine di importanza, anzi il primo ed il quarto sono considerati praticamente assoluti, non negoziabili, mentre il secondo ed il terzo sono più elastici e meno vincolanti. Nel campo della sperimentazione entra in gioco soprattutto il principio di giustizia che, oltre ad evitare qualsiasi forma di discriminazione e di favoritismi, in etica medica significa più precisamente quanto segue: va perseguito il maggior bene per il maggior numero di persone, con una attenta calibratura del rapporto fra costi e benefici. Bisogna guardare al numero delle persone coinvolte ed allo spessore del beneficio in quanto tale. Ad es. il beneficio di un vaccino è altissimo, come pure quello delle macchine diagnostiche tipo Tac, oltre al fatto che riguardano migliaia o milioni di persone; mentre il beneficio di un trapianto cardiaco è decisamente più basso, oltre al fatto di riguardare poche persone (con la dizione che «l’intervento è tecnicamente riuscito» si tende a coprire il problema del rigetto, e a misconoscere che la vita successiva del “trapiantato” è un mezzo inferno, soprattutto a causa dei farmaci pesantissimi continuamente somministrati). Se ho quindi a disposizione 5 miliardi, e la diagnostica è deficitaria, devo privilegiare l’acquisto di una Tac e/o di una Risonanza magnetica nucleare, e non fare cinque trapianti cardiaci. Il fatto che i trapianti possano portare notorietà all’ospedale non è e non deve essere un criterio etico. La gestione delle risorse è certamente un problema estremamente complesso, ma centrale e vincolante. Ad esempio le tecniche di fecondazione artificiale, o procreazione medicalmente assistita, hanno un beneficio, al massimo, del 20% e riguardano, in proporzione, non molte persone: avere una percentuale di riuscita così bassa significa essere ancora quasi in un ambito sperimentale. Sarebbe quindi immorale creare un reparto di fecondazione assistita, con costi elevati e benefici bassi, se nel resto dell’ospedale avessimo ad esempio una radiologia scadente (supponiamo una sola Tac senza Risonanza magnetica con diagnosi ed esami clinici notevolmente ritardati, ecc.) e dei reparti di degenza con stanze e servizi igienici inadeguati. La recente separazione ad esempio, delle sorelle siamesi a Palermo è stato un intervento dai costi elevatissimi e con beneficio quasi zero; e, se fosse riuscito, avrebbe comportato nei prossimi 5/10 anni una serie interminabile di ulteriori interventi per la sorellina sopravvissuta, con costi elevati: i costi non sono solo quelli finanziari, ma anche le risorse umane e le competenze professionali di una intera équipe che avrebbe lavorato con un beneficio minimo. L’intervento di Palermo sarebbe stato illegittimo se in quell’unità sanitaria locale parecchie persone fossero state in attesa prolungata di interventi chirurgici “normali”, con costi contenuti ed un beneficio decisamente più alto. Certo se separi due siamesi tutto il mondo ne parla, ma l’onore e la gloria di un ospedale, come già detto, non costituiscono un criterio etico. Di solito, però, sia sulla fecondazione artificiale che sulle cellule staminali e la clonazione, si fanno discussioni sui massimi sistemi circa la liceità morale di manipolare la natura, e non si considera per nulla il principio di giustizia, ossia il maggior bene per il maggior numero di persone. Gli stessi politici, e men che meno in campagna elettorale, se ne guardano bene dal dichiarare agli elettori i criteri etici a cui intendono attenersi nella ripartizione delle risorse (anzi, a volte non sanno nemmeno cosa sia un criterio etico). E si ha l’impressione che le direzioni e i consigli di amministrazione degli enti ospedalieri ripartiscano le risorse con criteri puramente tecnico-amministrativi ed aziendali, con criteri economici ed efficientisti di basso profilo, nonché legati spesso a corporazioni, lobbies, lottizzazioni politiche e mediche..., ecc. Tutte queste considerazioni non vogliono essere assolutamente un rifiuto della sperimentazione in campo bio-medico e bio-chimico: anzi la sperimentazione con finalità terapeutica è sacrosanta. Un presupposto assolutamente non valido, ma presente spesso a livello inconscio in molte persone, è quello che identifica il naturale col buono e l’artificiale col cattivo. La natura non è sempre buona, anzi a volte è molto maligna (vedi il caso dei tumori). E l’artificiale non va condannato in quanto artificiale: va giudicato in base ai suoi scopi, metodi, intenzionalità, conseguenze, con l’applicazione dei 4 principi suddetti. La bioetica si fa con i principi e la razionalità argomentativa, non con le emozioni (che sono spesso reazioni di disgusto nei confronti delle manipolazioni artificiali in quanto tali; se mi lascio prendere dalle emozioni, non espianterò mai un cuore battente). La sperimentazione è dunque legittima e sacrosanta alle seguenti condizioni: non deve sottrarre troppe risorse alla pratica clinica “normale” mettendola in crisi, e deve essere accuratamente regolamentata. I protocolli di ricerca devono essere ben articolati: vanno fissati, per iscritto, lo scopo, gli obiettivi, i metodi, le procedure, la scansione; nulla deve essere fatto di nascosto e di sottobanco. Le procedure devono essere trasparenti e i controlli adeguati. Se il finanziamento proviene dalle industrie farmaceutiche e dalle multinazionali (Ogm) si tratta di trovare il giusto “compromesso” ed una tutela adeguata per non essere troppo dipendenti e dominati dalle loro esigenze e richieste. Il fatto che il beneficio della ricerca sperimentale biotecnologica e biochimica con finalità medico-terapeutica non sia al momento quantificabile (come lo è invece la pratica clinica corrente) non è un impedimento dirimente: sappiamo per esperienza che i benefici indubbiamente arriveranno. |