LA CONOSCENZA CONTRO LA PAURA
"Islàm, violenza, nonviolenza"

Introduzione di Enrico Peyretti al convegno con questo tema, tenutosi a Torino l’11 novembre 2000

Le ragioni di questo convegno sono evidenti. Sono ragioni importanti e remote, rese più urgenti perché oggi c’è chi esaspera i naturali problemi di incontro fra la civiltà europea, segnata dal cristianesimo, sebbene secolarizzata, e la civiltà islamica. Mi riferisco alle posizioni di paura dell’Islàm interpretate dal cardinale Biffi e sfruttate politicamente da determinate forze politiche.

Abbiamo qui con noi studiosi di entrambe le culture, europea ed islamica. Essi sono anche cercatori di pace. Il nostro è un convegno di studio sull’Islàm, dal punto di vista dei cercatori di pace. La pace non è l’assenza olimpica di conflitti, ma il passaggio dalla gestione violenta dei conflitti naturali dell’esistenza alla capacità di gestirli in modo costruttivo, secondo lo spirito, le tecniche e l’arte della nonviolenza attiva.

Il problema.

L’Islàm è violento o nonviolento? Probabilmente, come tutte le civiltà e le religioni storiche, ha entrambi i volti, entrambe le potenzialità. Ce lo diranno i nostri relatori. Tutte le religioni, nella misura in cui ritengono di essere una relazione con l’Assoluto, rischiano di sentirsi in possesso della verità, di credere di potere impugnarla come un’arma, di poterla imporre, di potere attribuirsi diritti superiori, di poter compiere violenze sacre. 

Ma tutte le religioni, nella misura in cui hanno un sincero culto del bene e della verità, sono “disarmate” dalla verità stessa, che rende umili e miti di fronte alla sua grandezza impossedibile, e rende rispettosi del misterioso libero rapporto di ogni coscienza con la verità stessa. C’è un volto duro e un volto dolce in ogni tradizione religiosa, come in ogni cuore umano. 

Nell’opinione pubblica italiana più sprovveduta, alimentata da certi media e da pericolosi mestatori politici, c’è un accostamento, se non una identificazione, tra Islàm e violenza. Questa immagine isola alcuni fatti e aspetti negativi dall’intera realtà dell’Islàm.

Noi sappiamo che la nonviolenza è presente nel cuore stesso dell’Islàm, come valore ideale e come esperienza storica, anche nei nostri tempi. Senza ignorare difficoltà, problemi, aspetti deteriori, intendiamo far conoscere questo aspetto, come fa molto bene, per esempio, il libretto di Chaiwat Satha-Anand, “Islàm e nonviolenza” (ed. Gruppo Abele, Torino 1997).

È noto che il cristianesimo ha un’ispirazione nettamente nonviolenta, e però si è veicolato nella storia anche su culture violente e pratiche di conquista e di dominio culturale e religioso.

Così poniamo il problema se l’Islàm – che detta alle persone precisi doveri di giustizia e pietà reciproca, di cui ognuno deve rendere conto a Dio – non si sia veicolato anche su culture, sistemi politici, e se non sia stato condizionato da vicende storiche (prima l’espansione e la fioritura culturale, poi la decadenza, la colonizzazione europea patita, gli effetti politici dell’influenza occidentale attuale sui paesi islamici) che hanno spinto determinate componenti della comunità islamica all’abuso della religione per giustificare la loro scelta della violenza nella lotta politica.

Tutte le religioni sono esposte a questo rischio. Chi usa la violenza ha bisogno delle più forti giustificazioni, per rendere giusto ciò che è ingiusto. Non c’è giustificazione più forte di quella religiosa. Così si arriva – in tutte le religioni, anche recentemente – all’aberrazione di uccidere in nome di Dio.

Laicità.

Nei paesi a tradizione cristiana, attraverso la tragedia civile e spirituale delle guerre di religione, si è conquistata, almeno in linea di principio, la laicità dello stato come casa di tutti, che non pone la condizione della stessa fede religiosa per riconoscere tutti i diritti del cittadino; che non può differenziare in base alla religione i diritti umani degli immigrati; che non può modellare la legge civile sulla legge religiosa, perché non tutti i cittadini sono religiosi, né i religiosi hanno un’unica religione, ma può fare le leggi civili soltanto su una base etica minima condivisa, lasciando al comportamento personale di seguire esigenze religiose particolari o maggiori, purché non offendano i diritti umani fondamentali.

Il nuovo pluralismo religioso generato dall’immigrazione islamica e dalla diffusione dell’Islàm in Europa, gode oggi di quella conquista, perché negli stati laici, dove la cittadinanza politica è distinta dalla religione, è possibile essere cristiani o musulmani, di una religione o dell’altra, o di nessuna religione, ed essere garantiti contro ogni discriminazione religiosa. In uno stato cristiano confessionale pre-moderno, precedente alla laicizzazione, i musulmani come i seguaci di ogni altra religione, non potrebbero nemmeno pensare di costruire una moschea, né di praticare pubblicamente il loro culto.

La stessa religione cristiana ha (relativamente) superato la nostalgia della cristianità, cioè dell’uniformità religiosa della società, che si realizzava a scapito della libertà di coscienza personale e della sincerità religiosa. Oggi il cristianesimo, nella versione protestante come in quella cattolica, accetta, sia pure con residue tensioni, la laicità della società come una condizione favorevole alla stessa autenticità della fede religiosa. 

Nichilismo.

Ma c’è anche una versione fredda e spiritualmente immiserita della laicità: è quel nichilismo da cui è affetta gran parte della cultura e del costume dell’Occidente, che lascia la vita e i cuori umani privi di spirito, di senso dell’esistenza, di fiducia e di coraggio davanti alle domande grandi e drammatiche della vita: il dolore, il male, il desiderio infinito e il tempo finito. Ecco, allora, che le esistenze personali cercano invano di riempirsi di consumi materiali, che sono sempre al di sotto delle vere esigenze umane profonde, e le lasciano inappagate, deluse, frustrate. Ecco, allora, che la convivenza si risolve in concorrenza distruttiva, in molte forme sottili o pesanti di violenza alle persone e alla natura.

Islàm significa «abbandono in Dio». Occidente è sinonimo per certi versi di «abbandono di Dio». Così scrive Giancarlo Zizola a proposito di una manifestazione razzistico-religiosa della Lega contro la presenza religiosa islamica (Una messa a Lodi, in Rocca, 15 novembre 2000, pp. 44-48).

All’Occidente, che ha quasi del tutto spogliato il proprio spirito di ogni riferimento a Dio, o comunque ha relegato in un angolo della vita sociale la ricerca spirituale a tutto e solo vantaggio della vita economica arida, l’Islàm può dare un apporto nuovo di trascendenza e di fede, e una nuova esigenza di giustizia sociale. Un tale apporto religioso ed etico può rafforzare le difese spirituali contro le violenze profonde, tacite, strutturali, che avvelenano il nostro progresso materiale. 

La società che ha perso il senso di qualcosa di sacro, di inviolabile, ha bisogno del contributo delle religioni, di tutte le religioni. Le quali però dovranno rinunciare a farsi guida unica, direzione egemonica della società, ma dovranno rispettare il libero orientamento morale e religioso delle persone, che non vale nulla se non è libero e sincero, se è costretto dal conformarsi alla società, se è imposto da un obbligo civile.

Anche nel modo differente di pensare Dio – la differenza teologica maggiore mi sembra quella per cui, secondo il cristianesimo, Dio in Cristo ha sofferto con l’umanità ed è stato sconfitto ed ucciso, è stato vittima della violenza del mondo, e prima di vincere la morte per tutti l’ha patita su di sé, vincendo la violenza con la nonviolenza, mentre nell’Islàm il profeta di Dio non conosce la sconfitta – anche con questa differenza nel modo di pensare Dio, il riferimento, seppure problematico, a Dio, riferimento comune alle tre religioni del ceppo di Abramo, è il criterio, la leva esterna al mondo, con cui il mondo può essere amorevolmente e costruttivamente contestato e promosso verso un’etica e una pratica più umane. 

La lettura storico-critica dei testi sacri.

Il cristianesimo ha accettato, sia pure con giusta vigilanza critica, ma anche con ritardi e resistenze, questa evoluzione della modernità occidentale, perché ha potuto, negli ultimi secoli, arrivare ad una lettura storico-critica del proprio testo sacro. Sotto la pressione provvidenziale della critica razionalista ed anche irreligiosa, attraverso lunghe e dolorose fatiche, il cristianesimo ha imparato a distinguere tra ispirazione divina essenziale e culture, linguaggi, condizionamenti vari, attraverso i quali la Parola di Dio si è espressa in parola umane. Quella ispirazione è meglio riconosciuta e tutelata se non è legata a culture e sistemi storici passeggeri, che essa abita in determinate epoche storiche, ma che poi attraversa, proseguendo un cammino più lungo.

Abbiamo l’impressione che l’Islàm, per le differenti vicende storiche e culturali in cui si è trovato a vivere, cominci soltanto oggi ad affrontare questo delicato e faticoso problema dell’interpretazione storico-critica del testo sacro. Le distinzioni che con questa fatica si raggiungono valorizzano la purezza dell’ispirazione religiosa e permettono la migliore difesa – non un’apologia puramente reattiva – di quella ispirazione genuina dalle contaminazioni storiche.

Religioni e violenza.

Per tutte le religioni (non parlo ora del solo Islàm), la più grave di quelle contaminazioni della pura ispirazione originaria, è l’uso religioso della violenza, la giustificazione religiosa della violenza politica, la violenza spirituale e strutturale sulle persone religiosamente giustificata. Questo è avvenuto, e avviene ancora in vari modi, nella storia delle religioni.

Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Qui, infatti, ci incontriamo per deporre ogni pietra dalle nostre mani. Anche se può essere lungo il cammino della conoscenza e stima tra le diverse culture umane; anche se possono continuare a pesare pregiudizi e malintesi diffusi, noi qui vogliamo fare un lavoro di pace culturale: ascolto attento della realtà dell’Islàm, ascolto anche critico, ma nella migliore disposizione di simpatia per questa storia e spiritualità. 

Un lavoro di pace culturale: perciò non ci può bastare pareggiare accuse e critiche ad una parte con accuse e critiche uguali ad un’altra parte, perpetuando un conflitto. La ricerca nonviolenta è il primo interesse dei centri di studio che promuovono questo convegno. Questa ricerca considera il capitolo delle religioni molto importante: di tutte le religioni, della loro qualità benevola e costruttrice di pace, delle loro reciproche relazioni di rispetto, di stima, di collaborazione per la giustizia e la pace. 

L’indagine sulle fonti e sulla storia del cristianesimo, del buddhismo, dello hinduismo, di altre religioni, per verificarne e stimolarne le capacità di costruire pace, è più sviluppata. Si sta sviluppando questa indagine anche riguardo all’Islàm. Il nostro convegno, grazie ai contributi degli studiosi presenti, può essere un momento di un cammino, che culture e religioni hanno da compiere insieme.

Vincere le paure con la conoscenza.

In questo momento, in Italia, c’è chi soffia sul fuoco della paura dell’Islàm, dell’aggressività e assolutismo che si presumono sue ineliminabili caratteristiche. Ha paura una società senza spirito, poco certa di ciò che è, di ciò che vuole, di ciò che cerca; una società insicura, non solo per la criminalità, ma più ancora per la disgregazione e l’atomismo individualista, che getta ciascuno nella solitudine, per l’insicurezza del lavoro e dell’appoggio reciproco generata dall’ideologia liberista del vivere da rivali e da estranei, anziché da soci. 

Questa profonda insicurezza e paura spinge alla facile istintiva ricerca di un capro espiatorio, nell’illusione di espellere da sé il problema e il male: il diverso per pelle, per provenienza, per lingua e cultura, per antiche inimicizie, specialmente per religione, cioè per la visione profonda della vita, è facilmente e stupidamente individuato come il portatore del pericolo e del male. La paura genera razzismo ed esclusione criminale.

L’antidoto a questa caduta, che ha orribili precedenti storici, è la conoscenza: la conoscenza e il dialogo; l’ascolto e la comunicazione; l’accoglienza dello straniero e del culturalmente diverso non solo negli spazi di vita e di lavoro, ma in quelli del discorso sociale. Ogni conoscenza incontra luci e ombre. Ogni discorso ha da essere libero e critico, nel rispetto. Ma ogni conoscenza reale snebbia le immagini mitiche e ossessive. Questo convegno vuol essere uno di tali momenti.

Anche l’Islàm ha una paura storica dell’Occidente, del cristianesimo, della colonizzazione, dell’attuale dominio economico, culturale, tecnologico, militare, ha paura dell’immoralità e dell’ateismo occidentali. Ne ha paura, ma, per altro verso, ne è anche affascinato e tentato, come da un idolo brillante, che promette ricchezza e forza se gli si vende l’anima. 

Studiare, parlare e ascoltare, imparare gli uni dagli altri, rispettare le diversità come doni aggiunti, tutto ciò scaccia le nebbie paurose, fa vedere la realtà nelle sue ombre e anche luci, luci e anche ombre. Conoscere gli altri aiuta anche a fare l’esame di coscienza su se stessi, sulla propria cultura e civiltà, perché tutti abbiamo pregi e difetti.

Se vedessimo solo il sole, la stella più vicina, non vedremmo mai le stelle della notte. Il nostro sole ci scalda e ci nutre, ma anche ci abbaglia. Quando il sole si ritira temporaneamente, scopriamo altre mille bellezze. La metafora vale anche per le religioni e le civiltà. Ognuno, certo, ha bisogno della stella a lui più vicina, che gli dà calore e vita, perché è nato o è venuto in quel punto dell’universo spirituale, e lì ha da vivere. Ma se ha occhi aperti e spirito di ammirazione saprà godere, libero dalle nebbie della paura e dalle ossessioni di superiorità, anche delle altre stelle, che tutte insieme formano la misteriosa infinita bellezza del mondo.

Enrico Peyretti

Centro Studi “Domenico Sereno Regis”, via Garibaldi 13, 10122 Torino (Italy)
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