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La convivenza è possibile

La convivenza è possibile. Faticosa e difficile, ma utile e intelligente. Voci autorevoli e voci di piazza vogliono convincerci del contrario. Quelle voci, gridando ogni giorno che la convivenza è irrealizzabile, la rendono ogni giorno più precaria e rischiosa. E, invece, la convivenza è possibile. Perché l’incontro e il confronto, la frequentazione e la consuetudine producono curiosità e conoscenza, riducono gli stereotipi e i pregiudizi, incentivano la reciprocità e lo scambio; cambiano le persone e le loro mentalità: quella di chi accoglie e quella di chi è accolto.

Questo vuol dire, forse, che la convivenza tra differenti etnie, culture e religioni sia agevole e agevolmente realizzabile? Assolutamente no. Antichi paesi che avevano raggiunto una certa stabilità da tempi relativamente lunghi, che spesso conoscevano una sola lingua e i cui abitanti si riconoscevano in una sola religione, resi inquieti dalle nuove migrazioni, reagiscono con diffidenza. Da qui possono nascere tensioni e conflitti. Tensioni che possono essere mediate e conflitti che possono essere risolti pacificamente. Certo, con fatica, ma ne vale davvero la pena. Chi non crede a tale possibilità, si affida alla più velleitaria delle illusioni: serrare le porte, bloccare gli accessi, chiudere i confini. Inseguendo una soluzione irrealizzabile, non si opera per realizzare quelle possibili.

L’Italia è un grande paese democratico, dove i diritti universali della persona vengono solennemente affermati e – tra molti ritardi e contraddizioni – tutelati. Quei diritti sono la via maestra per formulare garanzie, ma anche doveri; prerogative, ma anche obblighi; libertà, ma anche vincoli. In altri termini, reciproca responsabilità. 

I diritti universali della persona fondano irrevocabilmente la disponibilità di garanzie sociali, civili e politiche per gli stranieri presenti nel nostro paese; e insieme indicano i vincoli da rispettare. Questo motiva l’inclusione dello straniero all’interno del sistema della cittadinanza (assistenza sanitaria, difesa legale, libertà di organizzazione e di culto collettivo...): ma, allo stesso tempo, motiva l’interdizione e la sanzione nei confronti di pratiche che, quei diritti, violano.

Dunque, allo straniero residente nel nostro paese devono essere riconosciuti, tra gli altri, i diritti politici (come quello al voto nelle elezioni amministrative); dunque, allo straniero residente nel nostro paese sarà interdetto (e, in caso di violazione, sarà sanzionato con adeguata pena) l’esercizio di pratiche che – in nome di presunti motivi religiosi o tradizioni culturali – attentano alla integrità e alla dignità della persona. Secondo questo criterio vanno giudicati non solo i delitti comuni, ma anche atti come le mutilazioni sessuali femminili (non certo di derivazione musulmana), per le quali la proibizione e la condanna – peraltro condivisa dagli stessi movimenti di emancipazione dei paesi in cui vengono praticate – non possono che essere assolute; mentre questioni come la poligamia e l’uso del velo esigono strategie diverse di mediazione culturale, politica e giuridica. La forma poligamica di matrimonio – negata da più interpretazioni del Corano e interdetta per legge in alcuni paesi musulmani – non può essere riconosciuta dal nostro ordinamento: mentre la seconda questione – l’uso del velo – è invece passibile di mediazioni che sappiano conciliare rispetto di consuetudini culturali e adempimenti di legge (fotografia identificabile sui documenti di riconoscimento). 

Infine, c’è un’ultima categoria di controversie, che – in virtù, anzitutto, di un progressivo cambio di mentalità – possono essere disinnescate; controversie dove la differenza di opzioni religiose, forme culturali e stili di vita non comporta, di necessità, lacerazione. Quella differenza può, appunto, convivere pacificamente con altre opzioni religiose, forme culturali e stili di vita.

Uno Stato democratico efficiente è in grado di accogliere le diverse forme di vita delle minoranze (riti religiosi, pratiche alimentari, festività), quando non pongono dilemmi etico-giuridici. Per intenderci, si dovrà prevedere che nei luoghi di lavoro e nelle sedi pubbliche (caserme, ospedali, uffici, scuole) vi sia la possibilità di attenersi alle regole alimentari delle minoranze (ebraiche, musulmane e di altre confessioni); e di rispettare i digiuni, le festività e le scadenze di preghiera. E già, sulla base dell’articolo 8 della Costituzione, che prevede la stipula di intese tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica, è stato possibile risolvere alcune di quelle questioni (dal riposo sabbatico ai matrimoni religiosi).

In definitiva, il tipo di rapporto che potrà instaurarsi – e il tipo di conflitto che potrà verificarsi – tra cittadini stranieri e Stato democratico dipenderà, in primo luogo, dalla capacità delle leggi e delle istituzioni di distinguere tra ciò che è accettabile, ancorché diverso (magari radicalmente diverso), e ciò che non lo è. Accettare ciò che è accettabile sulla base del criterio rappresentato dal rispetto dei diritti universali della persona, non è solo segno di forza e di maturità del sistema democratico e dello Stato laico rispetto a quelli dispotici e/o confessionali: è anche metro di giudizio sufficientemente certo ed equo per poter rifiutare ciò che, invece, accettabile non è. 

Lo Stato deve proporsi come casa comune in grado di offrire a quanti risiedano nel suo territorio pari opportunità per coltivare i propri valori e affermare i propri diritti: tra cui quello, di rango costituzionale, di poter professare la propria fede religiosa, nel rispetto dell’ordinamento giuridico italiano.

E che ciascun figlio di Abramo e ciascun figlio dell’uomo costruisca il suo tempio.

Luigi Manconi, sociologo, monsignor Alberto Ablondi, don Vinicio Albanesi, Khaled Fouad Allam, docente universitario, monsignor Luigi Bettazzi, Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose, Franco Cardini, docente universitario, don Luigi Ciotti, Franco Di Maria, presidente dell’Unione Induista Italiana, Mahmoud Salem Elsheikh, filologo, Mariangela Falà, presidente dell’Unione Buddista Italiana, padre Nino Fasullo, Giovanni Genre, moderatore della Tavola Valdese, Filippo Gentiloni, teologo, Gad Lerner, giornalista, Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Moni Ovadia, Giannino Piana, teologo, Ali Schutz, segretario del Fondaco del Moro, Barbara Spinelli, giornalista, monsignor Francesco Ventorino, Tullia Zevi.

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senatore Luigi Manconi, Senato della Repubblica, 00100 Roma.
 


 
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