LETTERE |
Politica, bene comune non aziendale |
Caro Enrico, leggo sempre con grande interesse, piacere e adesione il foglio che mi mandi ogni mese, e spesso sono tentato di scriverti. Ora lo faccio prendendo spunto dalla tua (vostra) “Dichiarazione di voto”, poiché voglio sottolineare uno degli argomenti da te segnalati. La vittoria di Berlusconi segnerebbe, ancora una volta, l’ennesima volta, ma in misura davvero disastrosa, la morte della politica. La quale è l’attività con cui una comunità, locale, territoriale, nazionale e oggi, almeno tendenzialmente e sia pure attraverso percorsi ancora tutti da inventare, anche mondiale, elabora e stabilisce le regole dei propri rapporti, dà ordine alle proprie relazioni in vista degli scopi che riesce a identificare come consoni ai propri interessi, materiali e spirituali, di società di uomini. Stabilire le regole ed istituire i presidi attraverso i quali, di volta in volta, prendere decisioni informate, consapevoli, per agire in conformità ad esse. Politica è dunque autogoverno, esercizio di un potere appartenente a tutti i membri di una collettività, in quanto individui sociali, cioè soggetti titolari di una serie di relazioni con cui si rapportano ad altri soggetti e alle cose del mondo. Morte della politica è abdicazione di questo connotato, anche solo sotto forma di delega più o meno in bianco, a favore di chi, concentrando in sé tutto quel potere, tutti quei poteri, sostituisce presuntuosamente la propria visione delle cose, magari sotto forma di ‘sogno’, alla rappresentazione degli scopi, alla cultura collettiva definita e dalla storia e dal dibattito apposito che fa di ogni cittadino un, sia pur modesto, protagonista. Una realtà politica non è un’azienda, la politica non è l’economia (nello specifico capitalistica), la misura del suo funzionamento non è data da un successo calcolabile in termini di profitto, cioè di sviluppo, o di crescita, o di accumulo (sia pure universalmente condiviso) di beni, ma dalla realizzazione delle condizioni grazie alle quali tutti i soggetti associati diventano sempre più ciò che possono e debbono essere, cioè uomini, persone libere, intelligenti, capaci di far fronte alle esperienze e di inventarsi un mondo a propria misura. Morte della politica è accettare di collaborare alla realizzazione di un ‘sogno’ esclusivo, che un preteso superuomo chiede di considerare sogno di tutti, con un semplice atto di consenso (il voto) sostitutivo della loro libertà, intelligenza, capacità di stabilire rapporti e relative regole di comportamento. Se c’è qualcosa di cui abbiamo bisogno non è di questa abdicazione, ma della riscoperta della politica (già così ferita e tradita dall’esercizio del potere concentrato) come appannaggio di ogni uomo in quanto tale. Possibile che con tutte le lezioni della storia, oltretutto tragicamente recente, non si tenga conto di questo? Avrà avuto ragione Benedetto Croce dicendo che la storia è tutto meno che «magistra vitae»? Ti ringrazio di tutte le belle cose che scrivi e che fai e ti abbraccio caramente. Pietro M. Toesca San Giminiano, 3 marzo 2001. |