ACCANIMENTO COMPETITIVO
Vivere per gli altri, oppure la ferocia

La tragedia di Novi Ligure fa molto riflettere: la mia osservazione è che c’è molta più violenza nelle immagini (giornali, spettacoli, tv) che nella realtà, l’1% nella realtà diventa il 90% nell’immagine. Ciò crea un’altra “normalità” fasulla ma pesante, in cui la violenza, l’uccidere (entro pochi minuti da quando accendi la tv vedi ammazzare una persona...), dominano, sono un’azione frequente e risolutiva, un mezzo come gli altri, anzi spesso a servizio del “bene” e dell’ordine, e comunque dell’interesse individuale. Questo influisce sul giudizio e sul comportamento di molti: uno che passa all’atto ne rappresenta cento altri vicini e disposti all’atto.

C’è anche tanta violenza nascosta, occultata, taciuta, di cui i media parlano solo troppo tardi: esempio l’uranio impoverito, il profitto avvelenatore (mucca pazza), l’economia che uccide. È la violenza strutturale, molto più grave e vasta di quella diretta, fisica, ma molto meno individuata e giudicata. «La violenza strutturale è del professionista, quella diretta è del dilettante» dice Galtung. Questa violenza più sistematica non è detta, ma pesa sulla realtà. Quando compare, essa conferma l’immagine e l’idea che la violenza decide tutto, è la regina della storia, che gli ideali sono favole, che la bontà è “buonismo” ridicolo.

Bisogna rettificare profondamente questa immagine della vita e dell’umanità: senza alcuna illusione, nonostante la gravità di questi fatti sintomatici, è vero che la vita e la storia sono un tessuto fatto in grandissima parte di lavoro, collaborazione, rispetto, pazienza, cioè delle virtù della convivenza, magari a livello basso o minimo, ma tuttavia convivenza; la violenza è soltanto lo strappo, non la sostanza di questo tessuto. Gandhi risponde così a chi gli obietta che la nonviolenza e l’amore sono fuori dalla storia. No, egli dice, essi sono la storia reale. La violenza è l’interruzione della storia (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi 1996, pp. 64-65). C’è bisogno di riprendere fiducia nella vivibilità della società umana, con le capacità normali umane, da curare e rafforzare, ma senza disperare, e combattendo l’impero della violenza sulle menti e le coscienze.

A ciò si aggiunga anche l’opporsi allo sfruttamento politico sciacallesco di chi fa conto sui fatti di sangue, non solo per accusare subito gli immigrati, prima di ogni prova, ma soprattutto per invocare l’uomo forte, che raccolga frutti di potere dalla paura alimentata e dalla furia giustiziera barbara eccitata.

Il male nell’umanità c’è, è dentro tutti noi, ma molto prima e molto più del capo forte e della polizia dura, ci difende dal male la nostra volontà di convivere costruttivamente, con pazienza e con impegno interiore. Per esempio, il volontariato, un servizio agli altri, è ciò che la società deve proporre principalmente e concretamente ai giovani ed a tutti, invece del consumismo distruttivo e della concorrenza sfrenata. Quando vedo una sala-giochi affollata di ragazzi sento pietà per loro e indignazione per chi organizza quello svuotamento umano. Un nostro impegno per gli altri è ciò che meglio ci garantisce dall’essere contro gli altri, nella concorrenza maniacale, fino alla ferocia.

Enrico Peyretti


 
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