POESIE
La voce rimpiango

nel fluire del tempo
avverto in me un’involuzione

il mio corpo non prova il leggero fremito
alla brezza tesa di maggio
l’anima non vibra al sorriso
il cuore non esprime amore all’amata

ho perduto le sensazioni fisiche
le percezioni dell’anima

scendo nella profondità del mio essere
un’introspezione infinita
ricerca disperata dei ricordi

dissolte le emozioni
dispersi i sentimenti

sindrome oscura
mi ha rapinato ogni ricchezza interiore
lasciando l’impronta nel mio aspetto esteriore

sguardo fisso nel vuoto
assenza di mimica e d’espressione
impediti i movimenti
i muscoli rigidi e sofferenti

la voce perduta un’afonia totale

come narrare ai piccoli i racconti della bibbia
la fantastica creazione del mondo
l’avventura eccitante dell’arca di Noè
la parabola del buon Samaritano

la voce smarrita rimpiango senza fine.

Sergio De Maria


- mamma
volevi un figlio che fosse
squisitamente dolce
lo hai fatto
ma troppo fragile
mamma
anch’io 
come sergei ora
sono molto
molto malato 
di un male che non so nemmeno io
da dove ben provenga
anche per me 
come già accaduto a volodia
per una signorina
è crollato l’abisso della passione
e non posso fare altro che l’invito
sii buona
vai via
vai via
sii buona
ho tentato anch’io di risolvere l’incidente 
ormai chiuso
io non so ora se
sia più nuovo
vivere o morire sotto il sole
mamma
sono riuscito a vivere questa vita
che è niente di più di un protocollo
a volte in modo
stucchevolmente felice
mamma 
questa mia dolcezza
di cui tu vai orgogliosa 
disperatamente cara 
e a me non restano
che pochi spiccioli di cuore
mamma 
lascia che io tolga il disturbo -

Delfino Maria Rosso


Figli di figli

«Che farci, Vasja?Un figlio è come una fetta di pane tagliata via, è come un falco, vola via quando gli piace e torna a suo piacimento, e noi altri vecchi siamo come funghi fermi nel cavo di un albero, l’uno accanto all’altro.Io sola rimarrò fedele a te in eterno, come tu a me».
Ivan Sergeevic Turgenev, Padri e figli, Garzanti, 1976 (p.137). 

L’una morì nel trentanove
per non vedere la guerra.
L’altra morì nel novanta 
per non vedere l’eccidio del Golfo.
Toccò ai figli sopportare
quella guerra, questo eccidio.
A volte le madri
esauste dagli orrori risparmiati
si ritirano dall’ultimo orrore.
(11 settembre 1997)

Porto ancora sui capelli
l’ultima carezza
di mano in cui si estingue
il compito materno.
Istanti perenni
sono questi.
(27luglio 1999)

Si dispiega la vita
alla tua età.
Alla mia si ripiega.
(26agosto 1999)

Ossa dei miei vecchi
seminate nel villaggio
che il treno rasenta
al cospetto di campi e monti sereni
date frutto al mio lavoro
che voi mi comandate
e i figli dei figli.
(8 maggio 2000)

Vanno con forza alla vita
da conquistare.
Vengono lenti dalla vita
stanchi ed insaziati.
Sono gli stessi
i giovani e i vecchi
e gli uni degli altri non sanno.
(13 giugno 2000)

Che cosa un genitore
sa del figlio?
lo vide nascere, fiorire
lo vede andare, decidere.
L’ha chiamato, incontrato
come un dono ricevuto
lo perde
come si perde un dono dato.
Che cosa sa
del suo amore?
Solo quel che sa
del proprio amore.
Dei suoi dolori
che sa?
Quel che dei propri
conosce.
Della sua strada
vede qualche segnale
non il percorso.
(25 settembre 2000)

Viene un giorno
che il padre cede al figlio
con qualche pena
e silenziosa gioia.
(8 dicembre 2000)

Morirono per te.
Fu giusto e naturale.
E tu per chi?
(26 gennaio 2001)

In cose, cure, affanni
ognuno rende ai figli
ciò che dai padri prese
e il debito rimane
e tiene aperto il mondo.
(17 febbraio 2001)

Si vorrebbe dar tutto
ai figli.
Non si può caricarli
di esperienza altrui
ma solamente offrire
leggeri consigli.
(1 marzo 2001)

Siete partite
per un mondo vostro
forse un ricordo
non ora
vi ritornerà
per quello dei padri
inutile per voi
e soli noi restiamo
in un mondo non vostro
dove inutili e necessari
il ricordo di voi
e per voi le speranze
tengono tutto il cuore.
(9marzo 2001)

Luca Sassetti


Sendivogius: Sulphur

Domine in quo subiecto est hoc Sulphur?
Nella roccia che produce tutte le cose del mondo, 
nell’acqua che rampolla dai suoi anfratti,
nelle nubi che si incendiano come un Dio che si rivela?
Lo zolfo alchemico, volto infiammato della terra
conflagra e si coagula come il sole
indica le pulsioni della coscienza
risuona nella testa, palpita nei nostri inguini.
È forse odio che frantuma i desideri impossibili
di foia mai soddisfatta
è forse ira di possesso di tesori trasferiti,
è forse fame di terra bruciata
di corpi senza vita
o gioia impazzita negli occhi di un bimbo
«il sole mi fa ridere» dice la mia nipotina
e il giardino ingiallito da un’aria impolverata
sogna una terra non inquinata.
Sulphur è la brace
sotto la coltre che copre il mio mondo
sodomizzato
il fuoco dell’intelligenza non imbrigliata
da religione e politica imbiancate.
Sulphur è Afrodite liberata
da voglia di denaro, da voglia di stupro
è forse il nostro senso della bellezza
risvegliato dai suoni musicali
dai colori sulla tela, da performances inusitate
per linguaggi in codice
in una deflagrazione silente,
è forse una ricerca disperata
di negazione sessuale
per un’escatologia immaginata.
Sulphur non è certo fregola di lusso
e smania di acquisto
pulsioni volgari di vita
non è il volgo ad essere volgare nei nostri tempi
ma la genia di magri ricchi sfrenati
ansiosi di miti arrischiati.
Guardo con occhi di pietra la mia Afrodite negata
da una prostituta arricchita
che ha strappato la mia salvezza
ne scopro la bellezza perché sono malata
per la sua lontananza.
La mia anima è implosa ma ho la coscienza
per non sperare
in un’altra vita.

Luisa Rinaldi

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