TEODICEA (5) |
La teoria del libero arbitrio |
Abbiamo sino ad ora passato in rassegna le soluzioni per noi non valide circa la problematica di teodicea; per rinfrescare la memoria riprendiamo per un istante l’ultima trattata, ovvero il male come pena, castigo, retribuzione divina intrastorica. Dato che tira in ballo un Dio che può colpire, possiamo riassumere quella che è stata l’evoluzione biblica al riguardo; dagli strati più antichi dell’A.T. fino al Nuovo, i passaggi sono stati, a grandi linee:
1) Dio colpisce i nemici di Israele (strati più arcaici, nell’ambito dell’enoteismo); La logica della retribuzione mostra la sua inconsistenza soprattutto se applicata a casi concreti. Volendo spiegare in modo rigoroso la sofferenza in termini di punizione si dovrebbe concludere, tra l’altro, che pure certi eventi concreti e dolorosi, come ad esempio le due atomiche sulle città giapponesi alla fine della seconda guerra mondiale, o anche più recentemente l’attacco alle due torri, starebbero ad esprimere la giusta punizione che Dio infligge per i peccati del Giappone e dell’America. In una visione fondamentalista sia in campo teologico-filosofico che in campo biblico, ove prevalga una prospettiva interpretativa ingenua e avulsa da qualsiasi ermeneutica, che problema c’è? Anche nell’A.T. Dio si serve prima degli Assiri-Babilonesi per punire Israele, e poi del re persiano Ciro per liberarlo, e ciò non significa che sia gli Assiro-Babilonesi che i Persiani fossero buoni! Se lo ha fatto allora, perché non avrebbe potuto ripetersi sia nel ’900 che oggi? Non è infatti un caso che ciò venga affermato sia dagli ultra-fondamentalisti islamici che da Un’ipotesi per assurdo. Passiamo a cose più sensate come l’argomento del libero arbitrio. Il valore del libero arbitrio non appare in tutta la sua chiarezza quando lo si consideri come una qualità isolata. Lo possiamo illustrare nelle conseguenze che deriverebbero da una ipotetica negazione del libero arbitrio, ossia del libero volere e del libero operare. 1) In un universo in tutto e per tutto deterministico non si darebbe alcuna reale razionalità umana e nessuna intelligenza, perché l’uomo sarebbe ridotto a un computer robotizzato (gli attuali computer sono macchine perfette e utilissime, ma stupide). 2) Senza libero arbitrio non si darebbe nemmeno una vera creatività artistica, ma solo effetti determinati da cause antecedenti. 3) Senza libero arbitrio non si darebbe nemmeno una qualche responsabilità, poiché il soggetto non disporrebbe di un “posto” nel quale piazzarsi nella catena delle cause che portano a una determinata azione. 4) Senza libero arbitrio non si darebbe nemmeno la “scelta”, sia tra i valori che tra i fini. Non ci sarebbe l’identità vera e propria del soggetto, non si darebbe neppure il soggetto in quanto tale. 5) Senza libero arbitrio non si darebbe nemmeno una genuina collaborazione tra singoli individui. 6) Senza libero arbitrio non esisterebbe amore autentico e incondizionato tra gli uomini, poiché l’amore autentico presuppone che chi ama non sia costretto ad amare. Nessuno può amare in modo autentico un’altra persona se non ha, o non ha avuto, anche una qualche possibilità di non amarla. 7) Senza libero arbitrio, infine, non ci sarebbe spazio per le promesse e il relativo impegno a mantenerle; una promessa quindi può avere senso solo a patto che sia in mio potere anche il mantenerla (oppure no). E l’elenco potrebbe continuare; riassuntivamente, l’emergenza dell’agire etico, in contrasto con il comportamento puramente naturale, dipende dall’esistenza del libero volere, condizione necessaria per l’esistenza di un essere personale. La sequenza dell’argomentazione. Formalmente l’argomento del libero arbitrio, a fronte del problema del male morale (prescindiamo per ora dal male naturale o fisico, ad es. la malattia) si propone nella seguente scansione: a) L’esistenza di persone che possono scegliere in libertà (tutti i valori espressi nei 7 punti suddetti) è assiologicamente (cioè quanto ai valori) di gran lunga migliore, cioè infinitamente più pregevole, della sola esistenza di enti il cui agire sia sempre determinato; b) La libertà di scelta suppone la possibilità di poter scegliere ciò che è moralmente giusto, ma anche ciò che è moralmente sbagliato. È dunque “logicamente” impossibile offrire a qualcuno la libertà senza dargli al tempo stesso la possibilità di poter scegliere anche ciò che è moralmente sbagliato. In altre parole, il libero volere presuppone necessariamente la possibilità del male morale. Un’azione è libera soltanto se liberamente voluta: si deve quindi presupporre che il soggetto avrebbe potuto volere anche altrimenti; c) La possibilità di poter scegliere ciò che è moralmente sbagliato implica la possibilità che qualcosa di moralmente sbagliato venga pure fatto; non si può garantire che una simile possibilità non venga mai realizzata, se non al prezzo di una riduzione massiccia dello spazio di libertà. Se Dio impedisse (o avesse impedito fin dall’inizio) ogni abuso di libertà che generi sofferenza, toglierebbe completamente alle sue creature il libero arbitrio. Sembra proprio che il libero arbitrio si leghi necessariamente alla possibilità del suo abuso. Perciò nell’ambito del conseguimento di scopi e valori, nella ricerca e determinazione del senso e del sublime, nell’esplorazione delle vie e dei mezzi, nel progredire della conoscenza, il male va quindi considerato come una possibile, seppur tragica eventualità, che secondo il progetto originario di Dio non doveva essere, che doveva essere evitato perché umanamente evitabile, ma che purtroppo non è stato evitato e quindi bisogna combatterlo; d) A certe condizioni il valore positivo del libero volere può controbilanciare il rischio connesso di decisioni sbagliate e fors’anche dolorose. Tale rischio è giustificato sul piano morale soprattutto in base al principio del doppio (o duplice) effetto, che è sempre stato applicato in campo etico (anche dalla teologia morale cattolica più conservatrice) e lo è tutt’ora: è il principio ad es. per cui continuiamo ad andare in macchina nonostante i milioni di morti e feriti (che negli ultimi 50 anni hanno ormai raggiunto i numeri di Auschwitz, o dei morti della seconda guerra mondiale). Il principio del doppio effetto dice (in breve): un fine buono, assiologicamente valido, voluto, intenzionale (è chiaramente più un fine che un effetto), tollera come effetto collaterale, non voluto, di per sé non necessario (ma statisticamente si sa che può avvenire e di fatto avviene), delle conseguenze negative. Una condizione è che il valore intrinseco del fine prevalga su tali eventuali conseguenze negative. È anche importante che il secondo effetto (che appunto non è un “fine”) non sia voluto, non sia legato sempre e comunque in corrispondenza biunivoca stretta col primo, che sia in linea di principio evitabile e, con opportuni accorgimenti, precauzioni, provvedimenti, leggi, ecc., sia notevolmente ridotto, o ridotto al minimo, o addirittura evitato. Il gioco vale la candela? Nel corso della storia sono state formulate miriadi di obiezioni, che troviamo condensate, in termini che non hanno trovato ancora eguali, nei “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij: ovvero la descrizione da parte di Ivan, di fronte al fratello Alioscia, delle barbare crudeltà perpetrate sui bambini, con le riflessioni connesse. Un Dio disposto a correre il rischio della creazione di esseri liberi non assume i connotati di un calcolatore senza scrupoli, interessato soltanto al bilancio complessivo e indifferente alle vittime che ad esso si sacrificano? Alla fin fine tutto converge verso la domanda-chiave: se la creazione di esseri liberi valga il prezzo che si è poi costretti a pagare sotto forma di sofferenze incommensurabili (anche se, in linea di principio, si sarebbero potute evitare, e anche se pure Dio soffre per tali barbarie). Ed è proprio qui che, alla fin fine, si dividono anche gli spiriti. Ma chiunque dica che Auschwitz non sarebbe dovuta esistere e che Dio, a qualunque costo, avrebbe dovuto impedirlo, sostiene che gli esseri umani non dovrebbero esistere. Se si vuol salvaguardare il libero arbitrio, l’unica vera alternativa per Dio sarebbe stata quella di rinunciare alla creazione del genere umano, o alla creazione tout court. Di fatto il Dio creatore ha scelto la prima alternativa, sostanzialmente in nome di quello che noi chiamiamo “principio del doppio effetto”, mettendo in conto pure l’eventualità del male morale e della sofferenza che ne sarebbe derivata per le sue creature, e fors’anche per lui stesso. Non so dire se l’argomento del libero arbitrio, condotto su base teistica e creazionistica, tutto sommato si regga ugualmente. Il teismo presuppone l’apatia e l’onniscienza di Dio (intesa in senso classico significa che Dio sapeva fin dall’inizio come sarebbero andate le cose, comprese tutte le “Auschwitz” della storia); e il creazionismo presuppone che Dio abbia fatto direttamente sia il mondo che l’uomo, per cui risulta il responsabile diretto della natura umana così come si trova strutturata. È assolutamente chiaro che l’argomento del libero arbitrio va sviluppato su base non teistica e non creazionista (come faremo prossimamente). Mauro Pedrazzoli (continua) |