LIBRI |
Buonaiuti eretico e profeta |
Sbrigativamente liquidata da «Avvenire» come «pamphlet antistorico», la biografia di Ernesto Buonaiuti di Giordano Bruno Guerri è un buon contributo alla conoscenza di una figura nobile e dimenticata. L’accanimento dottrinale nei confronti di Buonaiuti e del modernismo, scatenato all’inizio del Novecento dalla chiesa di Pio X, fu condiviso dal fascismo ma, sorprendentemente, indusse al silenzio indifferente anche la cultura democratica dell’Italia libera. La scomunica di Buonaiuti, che lo relegava nel silenzio, costituì un tabù per il mondo cattolico e, di conseguenza, per chi nel mondo laico voleva evitare conflitti inopportuni.
Ambrogio Donini, allievo di Buonaiuti, storico marxista delle religioni ed esponente del Sorretto da un’ampia documentazione e bibliografia, il libro di Guerri ripercorre la vita di Buonaiuti dagli anni dell’infanzia e del seminario (dove ebbe tra i suoi compagni Angelo Roncalli) alla morte, nel 1946. Per le sue idee il sacerdote fu sospeso a divinis nel 1916 e dieci anni dopo colpito dalla scomunica vitando. Lo scomunicato doveva essere evitato, se sorpreso in una chiesa ne doveva essere scacciato e la chiesa riconsacrata, se sepolto in terra consacrata il suo corpo doveva essere riesumato. Anche la Civiltà Cattolica – che all’epoca fu l’arma principale della persecuzione contro Buonaiuti – parla ora di «una censura così odiosa come la scomunica vitando», ma lo dice nel 2000. Nel Concordato del 1929 tra la chiesa cattolica e lo stato fascista, Pio XI volle fosse introdotto il famoso articolo 5, che vietava agli ex preti (e tale era, non per sua volontà, Ernesto Buonaiuti) ogni incarico pubblico, e soprattutto l’insegnamento. Neppure Mussolini volle arrivare ad applicare, come avrebbe preteso la chiesa, questa norma in modo retroattivo. Buonaiuti mantenne la cattedra di Storia del Cristianesimo alla Sapienza di Roma. La perse però due anni dopo, nel 1931, quando fu tra i dodici (su milleduecento) docenti universitari che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo. Buonaiuti seppe dire no, condannandosi di fatto alla miseria materiale e all’isolamento intellettuale, mentre Pio XI incoraggiava i docenti cattolici a dire sì, ma con una riserva mentale. Ignorando disinvoltamente il Vangelo ( «Sia il vostro linguaggio: sì, sì; no, no; il superfluo procede dal maligno» Matteo 5, 37), la chiesa salvava ad un tempo la coscienza dei suoi fedeli e gli interessi che la legavano al governo fascista. Non più sacerdote e non più docente, Buonaiuti visse gli anni dal 1931 alla fine della guerra come doppiamente «sorvegliato speciale», dal regime fascista e dal Vaticano. L’uno gli ritirava il passaporto, l’altro metteva all’Indice le sue opere. Buonaiuti continuava il suo “apostolato itinerante” svolgendo conferenze su invito di organizzazioni protestanti. E molto spesso, mentre i vescovi ammonivano che era peccato ascoltare uno scomunicato, le solerti questure fasciste vietavano le riunioni. Il breve periodo fra la liberazione di Roma e la morte nell’aprile del 1946 vide la pubblicazione di Pellegrino di Roma. La generazione dell’esodo, insieme alle vergognose manovre che impedirono a Buonaiuti di riacquistare la cattedra universitaria. Una conclusione amara, come sottolinea Guerri: «Antifascista per i fascisti, anticattolico per i cattolici, anticomunista per i comunisti, Buonaiuti non poteva essere accettato nell’Italia di allora, né lo sarebbe in quella di oggi, sempre impegnata a considerare stravagante e nemico chiunque cerchi di vivere fuori dagli schieramenti, in un pensiero proprio». Gianfranco Accattino • Giordano Bruno Guerri, Eretico e profeta, Mondadori, 2001, pag. 328, L. 34.000. |