AMORE E MORALE |
Fa' ch'io t'ami |
Una congiunzione difficile ma irresistibile: «Ama il prossimo tuo come te stesso», disse Gesù. Ma è possibile? Si possono tenere insieme l’universalità del dovere e la spontaneità dell’amore?
Hegel giovane vide nell’impossibilità dell’impresa il destino tragico del cristianesimo: l’amore non può diventare legge morale, comando, senza negarsi. O si ama il prossimo per dovere e si perde la spontaneità del sentimento o si ama chi si ama e allora addio all’universalità del dovere. O amore autentico, ma selettivo o filantropia, universale ma senza il calore dell’immediatezza, costruita e un po’ ipocrita. Ma anche nei rapporti selettivi il problema si ripresenta ben presto, perché gli amici e gli amanti hanno bisogno di garantirsi reciprocamente e mandano in scena i doveri. La morale è costruzione, sforzo razionale per realizzare una convivenza ordinata e sicura, mentre l’amore è sorgivo, spontaneo e può aprire conflitti devastanti perché fruitivo e selettivo. L’eros dev’essere domato dalla ragione fino a trasformarsi in caritas? La fruizione deve diventare oblazione? Ma quale amante che abbia conosciuto l’entusiasmo fruitivo dell’amore può accettare la sua lenta metamorfosi in premura assistenziale? Non c’è modo di vivere l’amore fruitivo senza i disastri dell’egoismo? Non si possono costruire convivenze ordinate senza ipocrisia? C’è una piccola preghiera che ho imparato all’asilo e che ha accompagnato la mia formazione: «Dolce cuore di Gesù Ho impiegato tutta la mia esistenza per capire questa breve e poetica preghiera. Per capire che contiene la chiave della congiunzione dell’amore e della morale, che propone non di torcere il sentimento dell’amore fino a negarlo, ma di crearne le condizioni di possibilità. Fa’ ch’io t’ami non propone di dare all’amore la forma del comando. Non diventa ma nasce morale, come norma della prudenza che viene incontro al bisogno naturale di amore. Anche il bambino impara con l’esperienza che per essere sicuri di essere amati bisogna rendersi amabili, farsi amare. Fa’ ch’io t’ami non umilia il naturale egoismo del sentimento, ma lo matura aprendolo all’altro. Non mi porta a chiedere all’altro l’amore, ad assicurarmelo con garanzie morali e legali, ma, per quel che dipende da me, mi spinge a suscitare l’amore nell’altro. L’egoismo naturale e immediato del sentimento mi chiude in me stesso. Il Fa’ ch’io t’ami mi aiuta a non cadere nel solipsismo, sollecitandomi a chiedere all’altro di farsi amare, di rendersi amabile, di venirmi incontro, di evitarmi di non riuscire più a riconoscerlo per la sua estraneità e di estrometterlo. A me chiede non di amare per dovere ma di fare quel che chiedo all’altro: rendermi amabile e andargli incontro. Il Fa’ ch’io t’ami mi aiuta a non piegarmi supino e passivo al desiderio dell’altro ma a farmi amare nella mia alterità. Ad amare l’altro senza plagiarlo, senza assimilarlo a me ma come altro da me. Il Fa’ ch’io t’ami è la morale che prepara il terreno di cultura dell’amore. Dell’amore selettivo e particolare ma anche di quello universale. È costruzione razionale di rapporti paritari e amichevoli. Giuseppe Bailone |