POESIE
Olea et quercus in bello
Su, abbandoniamoli. Qui o lì, abbandoniamoli.
Scostiamoli subito, abbandoniamoli.
Come cassettine scarichiamoli, scricchioliamoli
Prima che ci prendano di nuovo con l’oblio
Che il tempo coli e cementifichi l’oblio
Catturiamoli, obliamoli.
Su, abbandoniamoli.
Sono forti come quelle volpi o faine
Come le sontuose lontre sono teneri e cinici
Come gli animali crudeli che occorre 
abbandonare
Prima che l’amore in noi sia troppo grande
E occorre stivarli prima che ci inteneriscano
Ah i ricatti degli animali infanti
Struggente nome dei bimbi animali
E noi che quasi li abbiamo amati e sorretti 
E loro che sapevano di tradirci 
Gli eleganti e forbiti
I democraticamente abbronzati
E così hanno parlato con gli altri
Sono stati ammessi alle celie del Duca
Dietro l’ala di un giornale si sono sorrisi
Noi siamo rimasti lì
Bersagli di riprovazione
Colmi di vergogna per questo vizio di pace
Carichi di dileggio forati dalla pioggia
Soli senza un capannone.
Abbiamo azzardato parole anziché bombe
Loro si sono girati dietro quel giornale
Dietro quell’ala si sono intesi.
Abbandoniamoli ora, non domani. Domani
Potremmo non ricordarcene più
Potrebbe quel loro pelo tornare a intenerirci
Quelle loro cravatte educate
La cavità elegante dei fonemi.
Ma sono uguali agli uguali
Potrebbero nel docile pelo ancora sedurci.
La gente dimentica alla svelta.
Su, abbandoniamoli. Domani?
Perché non oggi? Domani
Ci parlerebbero ancora
E sarebbe un miele amaro.
Oggi stesso, decostruiamoli. 
Se saliranno sull’erta di Assisi, isoliamoli. Smontiamoli come i ritrattini delle amanti
Deviamogli i fiumi e le strade 
Via, dimentichiamoli. Oggi, non domani.

Nei giorni immediatamente precedenti la stesura di questi versi l’opposizione moderata – Ulivo e Ds ne sono parte preponderante – votò quasi unanimemente a favore dell’intervento dell’Italia nella guerra americana voluto dal governo Berlusconi. Si segnalarono applausi a scena aperta di Rutelli al discorso del capo del governo, minacce aperte al fronte pacifista da parte del diessino Angius, una cinica fotocopia della vocazione atlantica e filoamericana da parte di D’Alema, e così via. 

La poesia parla di loro, esorta apertamente ad abbandonarli, a farlo subito prima di ripensarci, prima che ragioni di “opportunità” politica prendano il sopravvento e inducano a tollerare anche questo in nome della prospettiva di una “sinistra di governo”, già clamorosamente schiacciata dalla consultazione elettorale. Risorgono così in molti di noi antichi e recenti rancori. Il nodo tragico pacifismo /interventismo fa tornare a galla rabbie e disperazioni. È il loro filoamericanismo a ogni costo a essere nel bersaglio del mio giudizio in versi. Sono loro quelli di cui la poesia parla. Ne parla con disperazione, sarcasmi, ironia, certamente anche con toni che vengono da un fondo un po’ anarchico di insofferenza. Attraverso una serie di metafore, animali e sociali, ideografiche e etiche, loro, i traditori dello spirito di pace che ispirò la sinistra (la famosa colomba disegnata da Picasso) vengono messi alla berlina. La misura è stata superata. Una guerra, questa pericolosissima guerra, non può essere patteggiata come una leggina su, che so?, i diserbanti.

Giorgio Luzi 


 
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