IMMIGRAZIONE |
L'islam tra noi |
Ormai tutti abbiamo amici musulmani, o immigrati o italiani. Un recente incontro di eminenti intellettuali dell’Islam europeo con cittadini torinesi è avvenuto nel vivace Centro culturale italo-arabo della nostra città. Notevole la presa di distanza dei musulmani italiani o qui residenti, da chi si proclama imam senza averne titolo, né di cultura religiosa né di riconoscimento alcuno. Questa critica è specialmente preoccupata per il fatto che tali imam confondono religione e politica e rafforzano così i pregiudizi correnti sull’islam. Sulla distinzione tra quei due piani c’è stata molta insistenza, a mio parere persino troppa, perché ogni religione ha da contribuire anche alla politica, non nella competizione per il potere, non con dettati assoluti, ma immettendo nella società valori e criteri morali e umani, di cui la politica ha grande bisogno. Questo l’islam può farlo, insieme al cristianesimo e ad altre religioni presenti nella nostra società. Dall’esperienza musulmana francese è venuta una presa di posizione chiara contro il “comunitarismo”, cioè la separazione della comunità islamica dalla comunità civile di tutti, a favore invece della partecipazione alla cittadinanza senza i due estremi della emarginazione e della assimilazione. In molti incontri come questo, i musulmani parlano in difesa della loro religione, fino a farne quasi soltanto un autoelogio. È vero che c’è una incomprensione secolare tra Occidente e Islam, che ci sono da parte nostra accuse spesso sommarie e ingiuste. Eppure, pur comprendendo la reazione apologetica di una cultura sociologicamente minoritaria, bisognerebbe ormai saper andare oltre l’autodifesa, nel dialogo tra civiltà e religioni. Tutte le religioni, nel dialogo e nella collaborazione, possono fare anche passi positivi di sincera autocritica. Il cristianesimo ha fatto alcuni passi in questo senso. In particolare, le religioni potrebbero di più esaminare se stesse e costruire insieme un progresso morale su tre punti di grande importanza: la libertà di coscienza religiosa, la giustizia, la pace. Tutte le religioni, e le società civili che a una di esse in maggioranza si ispirano, dovrebbero chiaramente riconoscere a ogni coscienza personale la libertà di praticare o no la religione di maggioranza, e anche di cambiare religione senza danno alcuno nei diritti personali. Questo passo, nel cristianesimo, è costato dolorosi travagli storici, ma ha realizzato un maggiore rispetto della dignità personale interiore, a cui Dio si rivolge nella libertà. Su questo piano come su quello della giustizia sociale, non basta richiamare i princìpi, che magari sono chiari, ma sono contraddetti nei fatti. Nelle società di tradizione cristiana, la contraddizione è piuttosto nell’economia capitalistica egoista, che produce ingiustizie planetarie. Nelle società islamiche la contraddizione coi princìpi coranici può trovarsi nei privilegi di ristrette élites rispetto alle masse popolari povere. Anche qui il dialogo religioso sincero e scoperto può aiutare ciascuno a correggersi per portare meglio il proprio contributo religioso alla giustizia tra le persone e i popoli. Infine, la pace. Nel nostro tempo sporcato da tante guerre, le religioni possono aiutarsi a superare ciascuna per la sua parte la colpa di avere troppo spesso accettato la guerra, cioè nient’altro che l’uccidere esseri umani per “risolvere” conflitti. Questa è la vergogna di tante politiche, e le religioni l’hanno troppo spesso giustificata, non l’hanno finora abbastanza giudicata come un male che si può abbandonare, sviluppando i metodi civili di soluzione delle controversie. Una maggiore sincerità e confidenza reciproca è ormai possibile, almeno tra chi è più attento all’incontro tra le religioni, come era il pubblico di quella occasione, e ciò stimolerebbe tutti nella collaborazione. [ ] |