GUERRA PREVENTIVA
È un torto, non un diritto

Prevenire l’aggressione non è difesa ma offesa, è fare la guerra che l’altro forse non farebbe. Gli Usa oggi governati dal bellicoso Bush e da chi lo manovra da dietro, fanno politica militare offensiva.

Quel governo ritiene di aver diritto di punire. E di punire, prima del misfatto, l’intenzione stessa, e neppure nell’imminenza dell’attuazione, ma solo per la colpa di essere sospettato dell’intenzione di aggredire. Durante il fascismo un giovane fu linciato sul posto, al passaggio di Musolini, perché dal suo atteggiamento giudicato «reo d’intenzione di uccidere il Duce».

Ma dunque, cos’è il diritto?

Un primo significato

Primo significato: è il contrario del torto; è ciò che va bene, a differenza di ciò che va male. Il diritto è ciò che è retto, mentre il torto devia. Il diritto è la strada, il torto è la sbandata fuori strada. Rettitudine e torto sono un binomio antitetico. Chi è retto non fa torto. Far torto è offendere ciò che è retto, ed è essere nel torto, aver perduto la rettitudine. Perciò anche aver perduto il riconoscimento sociale di alcuni diritti ed essere quindi esposti al castigo, alla vendetta, alla pena.

Essere retto, per l’essere umano, è andare diritto al fine della propria natura. Se non c’è un fine naturale, se non è pensabile una natura umana sostanziale – sebbene plastica e mutevole, data la sua libertà – non c’è un diritto, tutto è diritto, anche il torto. Allora, diritto non significa più niente? Significa, ora, il «mio diritto», ciò che va bene per me e che tu devi rispettare perché va bene per me, anche se va male per te. È il «mio sacrosanto diritto», l’unica cosa sacra rimasta, perché l’ho conquistato, meritato, comperato. Ci sono tanti diritti diversi quanti sono gli individui, e i raggruppamenti particolari di individui. Più diritti, più scontri di diritti.

Torniamo alla difesa: è mia difesa fermare il tuo braccio alzato su di me; non è difesa ma vendetta e offesa restituirti il pugno dopo che tu me l’hai dato. Ugualmente, non è difesa ma offesa – ovvero difesa preventiva, guerra preventiva alla maniera di Bush – colpirti perché so che tu vorresti colpire me. Ed è offesa, e non difesa, l’azione di mantenimento di un privilegio, che è offesa. La difesa dell’offesa è offesa. La guerra dell’impero difende l’offesa esercitata dal dominio.

La legge

Ora torniamo al diritto, e vediamone un secondo significato. Vuol dire la legge, l’insieme di leggi e l’ordinamento giuridico strutturato (poteri, regole, diritti personali riconosciuti) di una certa società: ubi societas ibi jus, ci insegnavano giustamente. Anche in una banda di ladri ci sono poteri e regole, fin quando è una banda. Questo diritto è stabilito da chi ha il maggiore potere: può essere una persona, o una parte della società, che abbia i mezzi per imporsi, oppure per farsi riconoscere e accettare, o grazie a qualche suo merito o qualità, o perché ha il voto della maggioranza popolare. 

Nel secondo significato che stiamo vedendo, diritto è la volontà dei più forti, onesti o disonesti che siano. C’è da sperare e vigilare che siano onesti, che legiferino e governino per tutti e non per sé. Comunque, legiferano con la forza, o la forza di fatto, imposta, o la forza riconosciuta e accettata; o economica, o militare, o propagandistica, o giuridica e legittima, quest’ultima conferita liberamente dal popolo sovrano, cioè dall’insieme di una comunità umana sufficientemente unita e consapevole. 

Questo diritto nasce in due modi: o dal non-diritto, quindi dal torto (rivoluzione violenta, forza materiale, imposizione armata o economica, populismo demagogico, persuasione occulta, ecc.) o dal diritto stesso (legislazione legittima e davvero rappresentativa).

Dignità inalienabile

Ma c’è un terzo significato di diritto, per lo più trascurato, che affiora nel concetto e nella terminologia di «diritti umani». Questi sono diritti anche se non sono scritti nelle leggi, anche se sono negati e offesi, e non sono i diritti acquisiti, conquistati, garantiti, non sono definiti dalle leggi. Sono proprio i diritti di chi non ha diritto nei primi due sensi di questa parola. E allora, cosa sono? Sono valori avvertiti, non perfettamente definibili, non delimitabili, come avviene, e deve avvenire, per esempio, per il diritto di proprietà (che deve essere limitato subito dopo essere stato affermato, affinché non prevarichi sui diritti vitali). I diritti umani sono diritti che non possono mai essere perduti. Sono i diritti di un mistero mai totalmente sondabile e circoscrivibile, quale è la persona umana. Il diritto in questo senso è inerente alla persona. Rosmini diceva: «La persona umana è diritto sussistente». È diritto che si ha per nascita e non si perde mai. È tutto l’opposto del «prendersi un diritto» che non si ha, che è di altri, o di tutti, e perciò non appropriabile (l’aria, l’acqua, i beni comuni, i diritti politici), oppure di nessuno (il diritto di uccidere, offendere, dominare). In questi casi si dice «arrogarsi» un diritto (da cui «arroganza»), cioè chiedere per sé e pretendere ciò che non spetta, che dunque non è diritto ma torto (storto; es-torto).

Nel terzo significato che stiamo vedendo, il diritto è qualità non solo delle persone oggi viventi, ma anche dei posteri, oggi inesistenti, verso i quali oggi cominciamo a comprendere che abbiamo dei doveri, almeno di lasciare loro il mondo in condizioni di vita possibile. Diritti di persone inesistenti! 

Inoltre, realizzato uno dei diritti umani, ne può spuntare un altro nella coscienza sociale, prima non avvertito. Si parla di successive «generazioni» di diritti umani: essi nascono, come i nuovi nati nell’umanità, prima invisibili. Facciamo un esempio: c’è il diritto a difendersi da aggressioni, certamente. Per lungo tempo, dalle aggressioni collettive si aveva diritto a essere difesi dall’esercito patrio; a questo diritto corrispondeva il dovere, esaltato, sacralizzato, e duramente sanzionato, di militare nell’esercito. Ma ecco che, per un insieme di evoluzioni storiche e morali, si arriva a riconoscere come diritto della persona il rifiuto di imparare a usare le armi: questo diritto personale è riconosciuto dalla legge 230 del 1998 sull’obiezione di coscienza al servizio militare, che corregge su questo punto la prima legge, assai più imperfetta, del 1972. Resta certamente il dovere sociale di difendere la società da l’uno o l’altro dei mali che può patire, e ciò avviene (deve avvenire), per legge, non solo nella forma armata, ma in forme civili, non armate, nonviolente.

Che cosa può significare «diritto» nel senso di diritti non misurabili della persona umana? Non è solo il diritto soggettivo, in capo alla persona: questo rientra nel diritto oggettivo, cioè nell’ordinamento, che si forma nei modi detti sopra: sono diritti soggettivi quelli scritti nella legge positiva, oggettiva. I diritti umani sono ben di più. Sono la dignità della persona. Così li spiega Roberto Mancini in Senso e futuro della politica (Cittadella, Assisi, 2002). La dignità sfugge alla quantificazione. Puoi affermarne alcuni aspetti nella legge positiva (quel diritto all’obiezione nell’esempio appena fatto), ma la dignità non sta dentro la legge scritta, c’è anche senza la legge, anche contro la legge, anche oltre la legge. La dignità è il titolo del titolare dei diritti umani: gli spettano perché è persona, e ogni persona ha la inviolabile dignità umana, anche se smarrita o contraddetta. 

Ma la stessa dignità è anche il limite di quella titolarità, in quanto è dignità dell’altro, da ri-spettare, da non violare. Dire «limite» è vero, ma è poco e male. È vero perché oltrepassare una certa soglia dello spazio di vita (materiale e spirituale) dell’altro, è un «oltraggio», un andare troppo oltre. Ma è poco e male, perché cela un concetto ancora debitore di quel primo significato di diritto come «mio» limitato dal «tuo», sul quale concetto regna la cultura della separatezza radicale tra gli individui. Questa idea è espressa in quel detto che pare tanto saggio e avanzato, mentre è arretrato: «la mia libertà finisce dove comincia la tua». Ah, dunque una libertà nega l’altra! Una persona nega l’altra! La radice di questo pensiero che sembra civile è in-civile: gli individui non fanno società, non sono soci ma rivali, non fanno civitas, non sono cives, ma selvaggi. Sbagliava Hobbes nel definire questa situazione con l’aforisma homo homini lupus, perché i lupi non sono così pericolosi per l’uomo come egli suppone che sia ogni uomo per l’altro.

Smarrimento della dignità

Dunque, rettitudine, ordine giuridico, dignità: tre sfaccettature molto forti di un concetto 
ricco e complesso. L’attribuirsi da sé, per la sola forza di fatto, il diritto di punire preventivamente una violazione, giudicata dallo stesso potente, come danno presunto dei propri interessi, perciò l’emettere una sentenza di condanna in causa propria, tutto ciò è capovolgimento del diritto su tutti i suoi tre lati: è torto, è disordine giuridico, è offesa alla dignità di qualunque persona umana e popolo umano, anche di un eventuale colpevole, e dunque è anche smarrimento della propria dignità. Smarrimento, non perdita, perché nessuno perde mai il diritto umano fondamentale, che persiste anche nell’assassino. Perciò è possibile che anche il Grande Oltraggiatore possa ritrovare la propria umanità, quando arriverà, o tornerà, a riconoscere l’umanità altrui, l’inviolabile dignità di ogni altro umano, e l’assoluta inesistenza di qualunque diritto di dominio. Per lo più, per ritrovare l’umanità bisogna perdere la potenza.

Oggi condanniamo gli Usa, meglio il governo criminale degli Usa. Ma non possiamo accontentarci della condanna, non solo perché non è efficace, ma perché occorre allearci, anzi avere amica l’altra America, che c’è, che non vuole la guerra, che è con noi, anche se è ora sopraffatta. A Firenze Colleen Kelly, sorella di una vittima dell’11 settembre, ha detto: «Abbiamo bisogno [il popolo Usa] di amici, non di alleati». Dovremmo poter dire a Berlusconi e Blair: «Voi siete alleati di Bush, noi siamo amici del popolo Usa, quello che vuole essere amico e non dominatore del mondo». Sarebbe una di quelle armi nonviolente che danno vita e non morte, che abbattono i muri e perciò decostruiscono la guerra. Per me, questa nuova riflessione sugli Usa mi si è chiarita particolarmente nell’ascoltare una relazione di Ekkehart Krippendorff, che speriamo di poter fornire in appunti ai lettori.

Enrico Peyretti 


 
 
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