Editoriale

L’ultima documento della Congregazione per la dottrina della fede, rivolto ai cattolici impegnati in politica, va letto oltre che con doverosa attenzione critica anche con un pizzico di ironia. Sebbene, infatti, rielabori le ragioni di sempre con qualche concessione retorica alla nuova sensibilità sociale sulla laicità della politica e sul pluralismo delle visioni etiche e antropologiche, la sostanza è sempre quella, vale a dire l’invito ai cattolici a fare tutto il possibile per tradurre in legge di stato le prescrizioni etiche della chiesa, naturalmente identificata col magistero.

Così la difesa classica del matrimonio, monogamico, eterosessuale e indissolubile, si coniuga stabilmente col rifiuto di leggi che riconoscano le unioni di fatto etero e omo-sessuali, con la condanna di ogni tentativo di regolare l’aborto e di ogni ipotesi di inseminazione artificiale eterologa, di sperimentazione sugli embrioni, di clonazione ed eutanasia. E non si tratta, come sarebbe giusto e come verrebbe da intendere alla lettura degli ultimi due capoversi del punto 8, dell’indicazione di principi orientativi utili alla soluzione di problemi cruciali, che i politici cattolici sparsi per il mondo dovrebbero tenere presenti con particolare attenzione e vigilanza. Ma di un vero e proprio diktat del tipo: «O sei con noi, o sei contro di noi».

Altrimenti perché dichiarare che si tratta di «principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili», quasi fosse possibile un solo modello di democrazia, quello cristiano? Perché parlare di «preciso obbligo» di fronte a cui «l’impegno politico dei cattolici non può cedere a compromessi, pena il venir meno della testimonianza cristiana nel mondo e l’unità e coerenza interiore dei fedeli»? Perché sostenere che «nessun fedele può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica per favorire soluzioni legislative che potrebbero attenuare le esigenze etiche fondamentali»? Perché limitare «la legittima pluralità di opzioni temporali dei cattolici» a quel tipo di impegno che «si richiama direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana», elaborata e definita autocraticamente dal magistero romano?

Ma forse non è il linguaggio messo in uso da questo documento, in bilico tra dialogicità e autoritarismo, a farcelo sentire stonato. Forse sono i tempi cambiati a renderlo tale.

Prendersela con gli «ismi» della modernità e della post-modernità (laicismo, individualismo pluralismo, relativismo) è sport di sempre nei testi dell’ex Sant’Ufficio e Ratzinger non è peggio di Ottaviani. È riproporre Ottaviani oggi che diventa anacronistico. Ci ricorda più le sfuriate impotenti di Pantalon dei Bisognosi che le terribili requisitorie di Torquemada.

La distinzione tra fede e politica, il valore dell’autonomia dei laici nel sociale, la riscoperta della possibilità di vivere nella chiesa «la libertà dei figli di Dio», per quanto contrastate, hanno fatto strada dal Concilio in poi e gli ordini dall’alto chiunque vuole discuterli e capirli prima di applicarli.

La Curia romana lo sa e probabilmente proprio per questo, in difetto di argomenti persuasivi e capaci di reggere la critica, ha pensato di ribadire le proibizioni di sempre. Ecco perché: «Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della chiesa». Ed ecco perché i gruppi, le associazioni, gli intellettuali, i teologi, le riviste e i giornali cattolici che volessero discutere tutto ciò sono messi sull’avviso che tale atteggiamente, «essendo in contraddizione coi principi basilari della coscienza cristiana», non sarebbe da considerarsi compatibile con la loro appartenenza al mondo cattolico.

Su un punto il testo riconosce che è sbagliato ispirarsi a «un sommario giudizio etico, dimenticando la complessità delle questioni», ed è, guarda caso, a proposito del rifiuto della guerra.

Solo con un profondo senso dell’ironia e un sovrano disinteresse per i «segni dei tempi» il cardinal Ratzinger può proporci questo severo richiamo all’autorità magisteriale e al primato etico delle questioni sessuali su quelle della giustizia e della pace, negli stessi giorni in cui il papa predica da tutti i pulpiti contro la guerra e l’opinione pubblica di tutto il mondo è alla spasmodica ricerca della pace e di un nuovo e più equo sistema di relazione tra i popoli.

Solo l’ironia. Perché mai altrimenti la Congregazione per la Dottrina della Fede dovrebbe dedicarsi anima e corpo alla tutela di valori etici, che essa stessa espressamente riconosce parte dei fondamenti naturali e razionali della vita umana e non di quelli attinenti la rivelazione e la fede?

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