CINEMA
L’incantevole inumanità della Natura

Si può essere indotti a definire Il popolo migratore un documentario unicamente perché degli animali ne sono i protagonisti. Appropriatamente, e con coerenza, il suo autore lo intende alla stregua di una «celebrazione lirica». Di certo si tratta di un film – sulle peregrinazioni degli uccelli migratori – di grandiosa concezione ed estenuante realizzazione (quattro anni di lavorazione e sei troupe in giro per il mondo).

Jacques Perrin – che è stato anche produttore di Microcosmos e che fu un attore simbolo di Valerio Zurlini – ha saputo rendere la ritualità di un pezzo di Natura adornandola della suggestione del sacro. Una Natura colta senza adulterazioni (al di là del fatto che alcuni esemplari di uccelli siano stati «imprintati») e indifferente al mondo degli uomini, presenti, come in certi cartoni della Disney, appena distintamente sullo sfondo quale minaccia incombente di distruzione.

Ancor più della straordinarietà dei luoghi, l’incanto primario che attraversa tutto il film rimanda a un’esperienza sensoriale non verbale, intreccio di musica e suoni animali, pura immersione in una sonorità aliena ai concetti. E nel percepire questa mirabile polifonia si può agevolmente intendere quel che Perrin ha poi esplicitamente formulato: «niente sarà più inumano di un mondo di soli umani». Tutto ciò è indubbiamente vero, e occorre lottare affinché queste parole non divengano profezia realizzata. Ma è altrettanto vero che non si dà forma di vita dalla quale non traspaia il raccapriccio dell’esistere. Le scene di caccia, stilizzate e glaciali, che compaiono nel film sono ripugnanti, ma non meno agghiacciante è vedere un piccolo uccello ferito preda dei granchi. Questa Natura, che con giusta devozione Perrin celebra, scorre da sempre, da secoli senza storia, in triste indifferenza alla cecità del dolore e alla liturgia della morte. E forse solo nella folle prospettiva paolina di una sua integrale salvezza (Rm 8,19-23) si potrebbe guardare a un film come Il popolo migratore senza venir colti da disperazione.

Massimiliano Fortuna


 
 
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