LETTERE
L’ultimo principe

Cara redazione, quando l’altra mattina per radio ho sentito che era morto Giovanni Agnelli ho avuto un piccolo sussulto: improvvisamente ho visto materializzarsi un pensiero che per me è costante: non c’è ricchezza o potere che possa rendere inoffensiva e meno paurosa la morte e la sofferenza. Alla fine siamo tutti uguali, a tutti tocca morire... poi però ho pensato che non a tutti è dato di morire nello stesso modo, con uguali comfort, nella propria casa... 

Alla fine della intera giornata, con «Radio 24» che ha per 24 ore ininterrotte fatto un’unica trasmissione su questo personaggio, le tantissime pagine sulla «Stampa», i telegiornali, gli speciali, le trasmissioni in memoria, le interviste, alla fine ho percepito dentro di me un rifiuto per tutte queste celebrazioni.

È vero, è stato un uomo che ha vissuto con stile, ma è facile quando si viene da una famiglia dell’alta borghesia torinese, in cui il denaro è sempre stato una ovvietà. È vero che ha trattato le cose e le persone con principesco atteggiamento: ma proprio questo aggettivo, che ricorre in tutte le celebrazioni, mi ha messo in guardia: noi siamo repubblicani, abbiamo abolito la monarchia da più di cinquanta anni; non abbiamo solo cacciato una famiglia regnante in quanto incapace e inaffidabile e politicamente inaccettabile. Abbiamo fatto la scelta di un mondo in cui i prìncipi non hanno posto e tutti siamo, o dovremmo essere, uguali.

Mi sono domandata quanti tra i miei amici di un tempo e i miei giovani amici di oggi avrebbero potuto esprimersi con la qualità di questo Agnelli se ne avessero le possibilità: e la risposta è che non lo sapremo mai e potrebbero essere anche molti o pochi, non ha importanza: perché a questa famiglia è stato dato quello che a pochi viene per diritto ereditario e non per merito; a chi molto è stato dato spetta il dovere (non la libera opzione) di restituire in proporzione. I cristiani hanno la parabola dei talenti, che si basa su di una legge di morale umana.

Poi c’è il tarlo che mi rode ed è che in questi ultimi tempi di gravissima crisi economica della Fiat si parla di errori di gestione dell’azienda: e chi, se non il “padrone”, è il primo responsabile della situazione ormai fallimentare in cui tantissima gente perderà il lavoro? O in prima persona o perché per motivi di comodo si è scelto degli amministratori incapaci.

Poi c’è il pesante ricordo della immigrazione degli anni 60 a Torino, quando migliaia di “terroni” sono approdati con la loro valigia di cartone in questa città, lasciando il proprio paese, la famiglia, la propria lingua, richiamati al nord da un lavoro a fronte del quale ogni struttura abitativa, ogni servizio era inesistente: mancavano le case, le scuole, gli asili, i medici, il sostegno e la mediazione culturale. Loro, i “terroni” e la città hanno allora pagato prezzi che forse chi oggi è più giovane non conosce, ma che quelli che avevano la mia età non dovrebbero dimenticare; e ci sono voluti anni per risolvere i problemi ambientali e di relazione legati a questa ondata di immigrazione. Mai, dico mai, io ho sentito qualcuno della famiglia Agnelli ricordare con rimorso quegli anni: le casse dell’azienda erano colme, il lavoro girava, le azioni rendevano, c’era il boom economico... che cosa volete di più: loro, gli operai, non sono pensiero nostro.

Qui mi viene in mente Adriano Olivetti: non ricordo una commozione di questa dimensione per un uomo che si era prodigato, lui sì, per riqualificare l’ambiente di lavoro e per fornire l’assistenza necessaria al benessere e alla serenità dei suoi dipendenti e alla intera città che ospitava la sua azienda.

La gente in coda per la visita alla camera ardente dice: ci ha dato il lavoro: e certo, questo era il suo mestiere, il lavoro degli altri per l’impresa della sua famiglia; e un regalo di Natale ai figli bambini dei dipendenti, invece che qualche biglietto in più nella busta di dicembre! Tutto questo mi ricorda sempre di più il feudatario che dà e toglie secondo i propri bisogni.

So di non essere political correct, ma ormai lo so da molto tempo: credo che in fondo molti di noi siano ancora monarchici alla ricerca di una nuova dinastia da ammirare! E credo anche che la morte vada rispettata, che le famiglie nel dolore, di qualunque strato sociale siano, abbiano il diritto di non essere spiate.

Paola Merlo
 


 
 
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