IMMIGRAZIONE |
Islam d'Europa |
Ho raccolto questi appunti schematici da una conversazione di Stefano Allievi, docente di Sociologia nell’Università di Padova, specialista in questo campo di ricerca, tenuta a Venezia, nel 2° Salone della editoria di pace, il 7 dicembre 2002. Si possono trovare questi dati, più sviluppati, in La tentazione della guerra, Zelig, Milano 2001 e nel recente Musulmani d’Occidente. Tendenze dell’islam europeo, Carocci, 2002. (e.p.) In Europa c’è una integrazione sostanziale, ma una percezione conflittuale. I problemi derivano dallo status di immigrati, non di musulmani. Il problema del hijab (foulard) in Francia fu posto da un preside, non dai musulmani. Fu posto dai musulmani il problema di Salman Rushdie, questo sì. Le moschee operano un valido controllo sociale, alla stessa stregua delle parrocchie e degli oratori. Le seconda generazione, ma già la prima dopo 20 anni dall’immigrazione, si europeizza. Dall’islam in Europa si passa all’islam di Europa. Il marocchino appena arrivato è musulmano perché marocchino; dopo è un musulmano europeo. Ma, nonostante ciò, c’è una percezione conflittuale. In realtà, nella storia, ci sono stati molti più contatti che conflitti. Teorema di Thomas: è sufficiente che una cosa sia creduta vera, anche se non è vera, per produrre effetti reali. Si tratta di una profezia che si autoadempie. C’è una storia di queste percezioni: la battaglia di Poitiers, nel 732, narrata come la fermata dell’invasione araba ad opera di Carlo Martello, fu in realtà una scaramuccia. Ma tutto ciò pesa nel nostro inconscio collettivo, fino allo «scontro di civiltà» di Huntington. Il metodo Fallaci La globalizzazione livella le identità, di cui abbiamo bisogno. La Fallaci vende con successo una identità dura perché abbiamo ansia di identità. Il metodo con cui la Fallaci interpreta l’altro è lo stesso usato da Sartori in Pluralismo, multi-culturalismo e estranei: prendono qua e là delle impressioni, dei ritagli, dei “fattoidi” – pseudo-fatti, che però producono inquinamento semiotico – e ne deducono l’islam. Per esempio: Sartori parla di 250.000 famiglie poligamiche a Parigi; sarebbero oltre un milione di persone implicate (tre coniugi e almeno uno-due figli, moltiplicati per 250.000), ma i sociologi francesi non se ne sono accorti! Quello di Biffi e Baget Bozzo è il metodo dei dunque: partono dall’idea universale e ne deducono il fatto. Così è l’islam; dunque così sono i musulmani; dunque sono incompatibili con noi, tutti, in quanto tali; dunque, bisogna cacciarli. Baget Bozzo, richiesto, ha ammesso di non conoscere personalmente nessun musulmano. Questa è pura propaganda, ma è importante perché dà risposte facili a un problema complicato: il bisogno di identità. Ormai l’identità di ciascuno è plurale. Gli psicologi parlano di identizzazione, identità dinamica, non fissa. Ma dare risposte facili è un mestiere che “rende”. Di solito lo fanno i politici. In questi casi anche alcuni intellettuali. È una favola che noi europei abbiamo una identità debole, che debba essere difesa di fronte agli immigrati. Invece è forte: economia, libertà, diritti umani sono qualità che attirano gli altri popoli qui da noi. Quello che consideriamo un islam “moderato” è fatto in realtà di dittatori che si dicono filo-occidentali e anti-islamisti, ma fanno piazza pulita di ogni opposizione laica e religiosa. È una borghesia “compradora”. Ci sono “identità reattive”: assumo una certa identità solo perché esistono altri che ne hanno una diversa. Per esempio, dire «Padania cristiana, mai musulmana», da parte di Borghezio e altri, che prima non sentivano il bisogno di dirsi cristiani! Eppure quelle identità reattive esistono. Il conflitto ha una funzione positiva: attraverso il conflitto scopri i tuoi limiti, e le regole di convivenza; si polarizzano le posizioni e sono possibili i riconoscimenti; si formano i leaders. In Gran Bretagna il massimo conflitto è stato quello su Rushdie, e oggi i musulmani in Gran Bretagna sono i più maturi. La democrazia è il sistema migliore di gestione dei conflitti: permette di trovare punti di equilibrio, anche se instabili. |