FILOSOFIA E TEOLOGIA / GIRARD 2 |
La scienza della rivelazione |
«La rivelazione cristiana chiarifica non soltanto ciò che la precede, i miti ed i rituali, ma anche tutto ciò che la segue, la storia che stiamo forgiando, la decomposizione sempre più completa del sacro arcaico, l’apertura su di un avvenire mondializzato, sempre più liberato dalle antiche servitù, ma privato d’un sol colpo di ogni protezione sacrificale». R. Girard, Vedo Satana cadere come il fulmine, Adelphi, Milano 2001 La citazione da una delle ultime opere di Girard ci permette di entrare subito in medias res. Essa funge da demistificazione del sacro, che, denudato e denunciato, permette altresì di denunciare come colpevole il meccanismo del tutti contro uno che è all’origine della prassi sacrificale. Per Girard dunque le Scritture di entrambi i Testamenti, con particolare riferimento ai libri profetici e al libro di Giobbe per quanto riguarda l’antico, costituiscono dei documenti incontrovertibili a favore di una teoria antisacrificale del cristianesimo, che attualmente suscitano un grande dibattito nell’ambito del mondo teologico. Girard analizza in modo acuto, tenendo conto dell’interpretazione tipologica della patristica, questi testi per dedurre: 1) l’impossibilità di credere alla colpevolezza della vittima Per quanto attiene al primo punto, Girard invoca l’autorità del libro di Giobbe e procede per un parallelo contrappuntistico nella sua opera dedicata a questo emblematico personaggio biblico, L’antica via degli empi, confrontando la carriera di Giobbe e quella di Edipo, in quanto da un lato essi esibiscono un’affinità ravvisabile negli elementi seguenti: Tuttavia occorre subito specificare una notevole divaricazione: Edipo accetta il suo ruolo e la necessità di espiazione sostitutiva che, pur essendo uno, gli fa portare le colpe di tutti; Giobbe, al contrario, protesta la propria innocenza, e rifiuta di unire la propria voce a quella dei persecutori. I suoi dialoghi pongono l’uno dinanzi all’altro il dio dei persecutori e il Dio delle vittime. In questo senso, Girard conclude con i Padri della Chiesa che Giobbe è il typus Christi, l’annunciatore del Dio vero. Egli parla infatti di un testimone a suo favore, un testimone presso Dio che ascolta i suoi lamenti; si tratta dello stesso Paraclito (in ebraico goel) di cui Gesù stesso parla, che è sia consolatore che difensore ed è dunque capace di smascherare il sacro violento e deporre a favore dell’innocenza della vittima. Già qui si ravvisa un primo nodo di ermeneutica critica rispetto al meccanismo vittimario ma anche rispetto al Dio bifronte, corrispondente cioè al binomio di tremendum-fascinans, che permette di arrivare via via ad una consapevolezza sempre più piena del Dio dell’Alleanza, loquens persona, che «misericordia vuole e non sacrificio» (Os 6,6). Tale pienezza di comprensione viene sviluppata nelle scritture evangeliche il cui climax è quello della paternità di Dio nonché quello della kenosis del Figlio, che porta a compimento la Rivelazione delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo. Anche nei Vangeli, come già in Giobbe, il Dio di Gesù Cristo sta di contro a quello dei persecutori. Non solo: nei racconti del Vangelo di Matteo, per es. Mt 23,34-46, Gesù accusa tutta la cultura fondata sull’omicidio e ricapitola interamente il primo crimine e l’ultimo. La sua divinità è segno di contraddizione, perché Egli non risponde violentemente alla violenza di cui è circondato, quasi fornendo, all’avviso di Girard, una prova ontologica ex post. Tuttavia è la stessa passione e morte di Gesù a sancire la presa di congedo dal sacro. Partendo dalle narrazioni matteane e lucane, connesse al nucleo marciano dei racconti della passione, il pensatore avignonese rileva che Gesù, fedele fino in fondo alla parola del Padre, non dà altro segno di potenza che quello di darsi liberamente all’uomo, non rispondendo con violenza ai suoi persecutori, ma rimettendo la Sua causa nelle mani del Padre e, come mostra la Sua allusione al salmo 22, rafforzando e glorificando la sovratrascendenza dell’amore. Secondo Girard dunque occorre sganciare la morte di Gesù dall’evento sacrificale, in quanto il sacro non ha alcun ruolo nell’evento salvifico dell’Incarnazione. Se, infatti, questa fosse collegabile al sacro, egli rinascerebbe dalle proprie ceneri come l’araba fenice, e la morte avrebbe a che fare con la vita, come accadeva per le vittime dei sacrifici antichi. Inoltre il lasso di tempo di tre giorni fra morte e resurrezione sta veramente ad indicare la fine del sacro inteso come pienezza di vita che scaturisce dalla violenza. Un inequivocabile segno di separazione da tutti i culti antichi è dato da quanto i racconti evangelici asseriscono a riguardo della morte di Gesù. Sia in Luca che in Matteo si può infatti leggere che «il velo del tempio si squarcia in due». All’avviso di Girard il velo del tempio costituisce la concretizzazione materiale del misconoscimento che fonda il sacrificio, sul quale Gesù ha però trionfato. Il racconto della Resurrezione sancisce altresì per Girard un ritorno alla luce di tutte le vittime sotterrate dagli uomini, non più per un’opera di morte, ma per un’opera di vita. Sulla Croce si completa dunque lo smascheramento dell’impianto sacrificale e ciò mostra inequivocabilmente come Gesù riveli il Volto di Dio che si lascia riconoscere attraverso la fedeltà al Suo popolo. La Croce è scrittura tragica che iscrive la violenza nel suo fondamento ultimo, tuttavia Gesù chiede al Padre di non guardarla come tragica scrittura del rifiuto, bensì secondo ciò che non era e che Lui ha fatto divenire convertendo un simbolo di odio in un simbolo d’amore. Essa caratterizza il perdono originario di Dio, inteso etimologicamente come sovrabbondanza del dono. Se tutto questo è vero, questa ermeneutica scritturistica diviene anche riserva critica rispetto al cristianesimo storico, spesso interpretato come cristianità, il quale, grazie anche a una lettura teologica spesso compromessa con l’impianto metafisico greco, non è riuscito a liberarsi dall’impianto sacrificale, quasi che la semantica del sacrificio fosse la più adatta, nonostante i Vangeli, a definire la trascendenza di Dio. Girard evidenzia con molta efficacia questo limite, laddove recupera in modo molto originale la riflessione trinitaria legandola alla storia. Egli asserisce, infatti, che lo Spirito di verità, che sancisce la perfetta comunione del Padre con e nel Figlio, permette di smascherare il sacro nel suo impianto sacrificale colmando l’abisso che c’è nel mondo a causa della sua violenza. È inoltre lo Spirito che ci permette di riconoscerne l’opera nella storia, dando corpo al messaggio evangelico, e delineando l’unica imitatio che, contrariamente alla mimesis, non genera violenza, che è per l’appunto quella di Cristo in quanto parabola del Padre. Se, dunque, la riflessione trinitaria costituisce uno smascheramento della triangolazione violenta, essa permette anche di interpretare in modo più autentico il kerygma cristiano, rendendo ragione del novum di Dio. Naturalmente questo costituisce una sfida al pensiero teologico, e anche un invito a superare ogni sclerotizzazione storica per ritrovare nel testo evangelico la sua sempre nuova freschezza capace di interpellare la propria esistenza. Bibliografia di riferimento di e su Girard in italiano: R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980. Paola Mancinelli |