CINEMA |
Mi pare di averlo già visto |
– Che mestiere fa il protagonista? – L’architetto, ovviamente. – E dove vive? – Dove vuoi che viva? A Roma. – Come va con la moglie? – Naturalmente la tradisce. – E con l’amante? – Subito in modo splendido, poi orribilmente. – E lui che tipo è? – Nevrotico al massimo grado, ricco, infelice. Tutto da copione. A questo punto ti pare di averlo già visto, questo film. Però sei impegnato a ricostruire quel che c’è di storia, perché il montaggio è enigmistico. – E c’è una nuova tipa? – Certo. – Magari sta per uccidersi e lui la salva? – Esatto. – La porta a casa e fanno l’amore? – Che domande! Cos’altro potrebbe succedere? – E poi, lei scompare, scommetto. – Indovinato. – Allora lui pensa di fare un viaggio a New York, immagino. – Lo sai già prima. – E va dallo psicanalista. – Ti pare che potrebbe mancare? – E non c’è altro? – Sì, ci sono alcuni tipi belli: la suora grassa, il bambino diviso tra i genitori, soprattutto il muratore morto sotto la betoniera, che diventa l’angelo custode dell’architetto. – E come finisce? – Non te lo dico, ma finisce bene, con una sorpresa felliniana, se ho capito, perché è difficile capire un film così facile. – Che film è? – La felicità non costa niente, di Calopresti, che recita anche da protagonista e ci infila due esterni girati a Torino, piccolo omaggio alla sua città, dove peraltro ha fatto qualche film meritevole. – Insomma, non ti è piaciuto. – Tutto scontato. E il senso sbagliato è che la felicità non costa nulla a lui, al protagonista, che non paga niente per trovarla, ma gli arriva da fuori, con un miracolo, forse solo dopo la vita, se è come ho potuto capire. Invece, fuori dal cinema, costa, la felicità, e merita pagare quello che occorre per trovarne quel tanto che è possibile, anche per gli altri attorno a te, se la vuoi per te. Quel che non costa niente è fare un film così. Enrico Peyretti |