LETTERE |
Antonicelli, un protagonista della cultura torinese |
Cara redazione, spero non sia troppo tardi per ricordare con qualche riga Franco Antonicelli di cui nel novembre scorso ricorreva il centenario della nascita. Tra l’altro l’università di Pavia gli ha dedicato il 18 novembre un convegno dal titolo «Le passioni dell’intelligenza». Personaggio quasi irreale, Franco Antonicelli, senza dubbio non facile da raccontare. Nella vita antepose a tutto il dovere morale, l’intransigenza, detestando l’ambiguità, i patteggiamenti, gli intrighi, la volgarità. Veramente un personaggio non facile da raccontare. Sembrava quasi fosse impegnato più o meno consciamente a non essere, a non diventare, a non fare carriera. Letterato, politico, editore, creatore di cultura, che tuttavia non scrisse quel libro di critica o di invenzione capace di dargli la fama; non ebbe un ruolo accademico e non fu neanche un uomo di partito. Qualcuno arrivò a incolparlo di essere un dilettante, era invece soltanto un uomo libero, un italiano serio anomalo, se così si può dire. Nacque a Voghera nel 1902. La sua famiglia, nel 1908, fu trasferita nel capoluogo piemontese dove egli poi rimarrà tutta la vita. Laureatosi in lettere e in legge in quella Torino degli anni fervidi dell’«Ordine nuovo» di Gramsci e della «Rivoluzione liberale» di Gobetti, fece parte del gruppo di quei giovani che diventeranno tutti famosi: da Leone Ginzburg a Pavese, da Massimo Mila a Bobbio a Vittorio Foa. Nel maggio del ’29 Benedetto Croce parlò al Senato contro il Concordato tra lo Stato fascista e la Santa Sede. Mussolini reagì con insulti, e una lettera di solidarietà a Croce redatta, tra gli altri, oltre che da Antonicelli, da Massimo Mila, Umberto Segre e Paolo Treves, fu intercettata dalla polizia. Antonicelli fu arrestato e finì in cella per un mese con Mila, e poi condannato a tre anni di confino. Se la cavò con due mesi di ammonizione e la diffida a tenere una buona condotta. Cominciò allora l’odissea del pregiudicato politico «Antonicelli Franco». Non essendo iscritto al fascio era escluso dall’insegnamento e se la cavò come poté. Nel 1933 fu precettore di Gianni Agnelli. Dal ’32 al ’35 diresse la «Biblioteca Europea» della casa editrice Frassinelli pubblicando libri di grande importanza come Il processo di Kafka – una scoperta per l’Italia – e come Moby Dick di Melville e Dedalus di Joyce, tradotti da Cesare Pavese Nel 1935 in una retata di quasi duecento persone, tra le quali il gruppo di Giustizia e Libertà e quello einaudiano della rivista «La cultura», fu arrestato e condannato a tre anni di confino. Poi la tragedia della guerra e il riscatto della Resistenza. Nel 1943 il carcere di Regina Coeli. A Torino fu attivo nella lotta di liberazione come rappresentante del Partito liberale. Presidente del Cln del Piemonte seppe essere un buon diplomatico, assertore dell’unità della lotta. Dopo non ebbe gratificazioni, quasi un disoccupato, uno scartato, come amava dire. Fece attività culturale e azione politica. Si batté per gli operai comunisti discriminati dalla Fiat. Nel 1953 scese in piazza contro la legge truffa e nel 1960 a Genova contro il governo Tambroni. Nell’ultimo periodo della sua vita, fino al 1974, l’anno della morte, fu per due legislature senatore della Sinistra indipendente. In Senato fu autenticamente indipendente, scomodo anche per il Pci che aveva voluto la sua elezione. Concludo questa mia breve nota per ricordare che ho avuto la fortuna e il privilegio di averlo ascoltato (erano gli anni Sessanta, credo) nei suoi colloqui radiofonici e di averlo letto nei suoi numerosi elzeviri sulla «Stampa». Chissà che qualcuno, proprio in occasione del centenario della sua nascita, non abbia pensato di raccoglierli in un volume. Sarebbe un modo bellissimo per ricordarlo e soprattutto per farlo conoscere. Clelia M. Ginetti |