TEODICEA / 11
L’impotenza strutturale di Dio

Nell’articolo precedente abbiamo concentrato le nostre riflessioni sul male morale, individuandone le cause principali sia nell’assoluta libertà del processo evolutivo, e sia nella disposizione primariamente ego-centrica della natura umana uscita tale dalla sua fase di sviluppo animalesco. In termini evoluzionisti, infatti, Dio non è il responsabile diretto della natura umana così come si trova strutturata, in quanto tutto il processo è libero a partire dal pre-big bang (sta nascendo una nuova cosmologia, basata sulla teoria delle stringhe, che risale oltre il big bang). Non basta però accettare l’evoluzionismo come tesi generica, senza portare a dei cambiamenti radicali sia in filosofia che in teologia. Infatti quei teologi che condividono l’ipotesi evoluzionistica, senza però mettere in questione l’onnipotenza divina, dovranno poi chiarire tutta una serie di problemi. Il primo è perché un Dio, che gode di un potere essenzialmente illimitato, per creare un mondo sia ricorso ad un metodo così lungo, complicato e tormentoso, vicoli ciechi compresi (all’incirca 7 miliardi di anni di evoluzione fisica stellare, 4 miliardi di evoluzione chimica, 1 miliardo di evoluzione biologica). Se poi si presuppone che gli esseri umani siano le uniche creature che realmente importano a Dio, mentre la restante creazione farebbe solo da contorno al dramma, al rapporto, alla storia che si svolge tra Dio e l’uomo (arrivato dopo la bellezza di almeno 12 miliardi di anni), perché Dio ha atteso tanto prima di affermarsi quale attore principale?

Autonomia totale del creato

Ma anche nel quadro del creazionismo tradizionale certi ragionamenti logici basati sul libero arbitrio conservano comunque la loro validità: ad es. è logicamente impossibile creare degli esseri che possano decidersi liberamente e al tempo stesso causarne pure le decisioni che prenderanno o anche solo tenerle sotto controllo. Ed ancora: la correlazione tra la capacità di fare esperienze positive e la capacità di sperimentare realtà dolorose è di natura metafisica, essendo necessariamente implicita nella natura di ogni mondo possibile. Non è quindi possibile che Dio faccia in modo che gli esseri si decidano liberamente sempre per il bene. È quindi logicamente impossibile creare dei soggetti liberi le cui decisioni vengano prese sempre in una direzione determinata; è altresì impossibile, sul piano logico, creare degli esseri con un campo moralmente significativo di libertà e al tempo stesso garantire che questi esseri non peccheranno mai. È invece logicamente possibile che degli esseri liberi optino sempre (o quasi, comunque nelle faccende importanti) a favore del bene e della giustizia: ed è per questo che bisogna strenuamente impegnarsi, nella logica del Regno e della pace.

Il creazionismo tradizionale invece andava in tilt quando si trattava di spiegare la tendenza al male: inevitabilmente si apriva il baratro che la “colpa” ricadesse direttamente su Dio, il responsabile della natura umana così come si trova strutturata; Dio, oltre a creare l’uomo libero, perché mai lo avrebbe creato anche con questa predisposizione al male, tanto forte quanto differentemente sviluppata? Il tutto era aggravato dal fatto che la tradizione sosteneva la totale onniscienza divina, comprendente quindi anche la conoscenza delle decisioni che liberamente si prenderanno in futuro: Dio quindi non solo sapeva fin dall’inizio che il male ci sarebbe stato, ma conosceva anche le immense proporzioni che tale male/sofferenza avrebbe assunto; si finiva inevitabilmente in un vicolo cieco, tanto che la tradizione se l’è cavata asserendo che il problema del male è insolubile razionalmente. Ma il problema del male è insolubile solo se si vuol salvaguardare a tutti i costi l’onnipotenza e l’onniscienza classiche, nel senso che a Dio, il quale conosce il futuro, tutto è possibile come in una sorta di onni-efficacia. 

A dir il vero anche il concetto classico di onnipotenza era sottoposto a restrizioni di ordine logico, come quelle appena evidenziate sopra: cioè un mondo di libertà, spontaneità e creatività non potrebbe essere un mondo totalmente controllato. Secondo noi Dio è sottoposto anche a limitazioni di ordine ontologico-metafisico, anche se i termini usati («restrizione», «limitazione») rischiano di favorire un equivoco, che cioè si possa pensare ad un potere immenso, illimitato, che in linea di principio consentirebbe alla divinità di realizzare pure cose logicamente contraddittorie od ontologicamente impossibili. Tale super-potere invece non si dà, quindi non ha luogo nessuna restrizione, nessuna auto-limitazione spontanea di Dio, nessun auto-trattenersi. Sono semplicemente le caratteristiche implicite nel suo essere e nelle sue qualità spirituali.

Permettere significa causare

Infatti un’impossibilità ontologico-metafisica è tale in assoluto, ed è ben diversa da una impossibilità solo “causale”; ciò che è causalmente impossibile lo è in genere solo in determinate condizioni o in un determinato tempo: ad es. in passato le telecomunicazioni, che non erano ontologicamente impossibili. Per Dio certo non esistono impossibilità causali: che cioè riuscirebbe a fare certe cose solo in determinate occasioni e non in altre, o solo in un determinato tempo e non in un altro. Ma ci sono impossibilità metafisiche, o comunque vincoli ontologici molto stretti che fanno sì che egli non possa, e non che non voglia, o non abbia voluto sin dall’inizio con la decisione assunta di auto-trattenersi; ma questa è stata purtroppo la soluzione devastante del pensiero tradizionale: «può ma non vuole» (salvare una persona, impedire una catastrofe, ecc.). Oppure, come si diceva, «lo permette»... (quante volte ho sentito questa frase!). Ma il concetto classico di onnipotenza non consente di distinguere fra ciò che un essere onnipotente permette e ciò di cui lo stesso è causa; perché se quell’essere ha il potere d’impedire che un evento X accada, e ciononostante consente che esso accada, non pare si possa ancora distinguere tra permissione e causazione. Chi consente che uno anneghi, pur avendo il potere di salvarlo, diventa corresponsabile della sua morte; cioè egli non solo ha permesso questa morte ma l’ha pure con-causata. Il Dio del teismo tradizionale perciò si comporterebbe in un modo che l’essere umano non può accettare: egli non interverrebbe in aiuto di chi soffre, benché non solo conosca questo dolore ma abbia pure la capacità di impedirlo. La causazione non è altro che la forma forte, la quale afferma: Dio ha deciso direttamente e intenzionalmente quel fatto o quella serie di eventi, all’insegna del «non si muove foglia che Dio non voglia», nella massima estensione della forma del dominio. La forma debole, un po’ più sfumata ma nella sostanza equivalente, dice che «Dio lo ha permesso»: cioè che Dio, pur potendo, ad es., intervenire per salvare dalla morte una giovane mamma con due figlioletti molto piccoli, non lo ha fatto perché non ha voluto (salvo eventi «miracolosi»); e sia per l’ultra-eccezionale intervento diretto (nel caso di un presunto miracolo), sia per il più normale e quotidiano non-intervento, le (pseudo) ragioni sono le stesse: ovvero i suoi fini e disegni imperscrutabili che coprono l’insensatezza scandalosa, il progetto superiore di salvezza con le sue vie misteriose che nascondono l’assurdità, un disegno più alto e più grande che tenta di inglobare gli eventi più atroci e tragici.

Dio non può per necessità metafisica

Abbiamo così la concezione del divino storicamente affermatasi nel passato, e quindi purtroppo ancora profondamente radicata nella coscienza degli uomini: è la concezione teista di un Dio sommamente potente che ha, detiene e gestisce il potere, e che, avvolgendo la storia umana nel ferreo cerchio di una rigida pre-determinazione, si manifesta nella forma del dominio. Imperversa l’onnipotente volontà di Dio in termini di ordinamenti, decreti, disegni che avvolgono tutti e singoli gli avvenimenti della storia in una soverchiante e imprigionante catena: in tale ambito, ad es., le malattie e le disgrazie sono volontà di Dio, ma anche in positivo l’incontro della presunta anima gemella, o il fatto di diventare vescovo o papa. In tale quadro tutto è previsto, calcolato, deciso: nulla di ciò che accade può essere pensato come estraneo alla suprema e toti-potente volontà che presiede al corso degli eventi nella direzione di un compimento eternamente precostituito. Ma se qualcuno domina e controlla tutto, compreso il probabile e il futuribile, c’è veramente spazio per il possibile e la sua libertà? Tutta la potenzialità del possibile esiste veramente se qualcuno lo domina? O non viene piuttosto riassorbito, meglio abolito nella riassicurazione toti-potente? Certe correnti teologiche sostengono giustamente che il mondo consiste di entità reali e di occasioni reali, le quali sono caratterizzate essenzialmente e necessariamente per la loro capacità di autodeterminarsi e autocausarsi. Sono entità che Dio non controlla: non perché non lo voglia o si autolimiti, ma per necessità metafisica. La concreta attualizzazione di valori da parte delle creature non è più sotto il diretto controllo di Dio; anzi Dio non controlla più nulla, in quanto può solo spiritualmente insistere, persuadere, ispirare, allettare, ma non costringere.

Mi sembra quindi più lineare affermare che Dio né causa né permette alcunché, per il semplice fatto che non può, non è ontologicamente in grado di farlo, essenzialmente perché, in quanto puro spirito, non è metafisicamente in grado di interagire con la materia; Dio ha preso decisioni all’inizio (ad es. quella di dare il via ad un processo libero), dopodiché non permette più nulla perché non è in grado di interagire a livello molecolare-energetico; dopodiché le varie leggi e principi sono di natura metafisica, valgono per ogni mondo possibile e sono quindi necessari: cose quindi, relative alla strutturazione della materia, che Dio non ha scelto in libertà. Nel pre-big bang in Dio è scattata un’evocazione espansiva di intensità, che è poi proseguita liberamente nell’incremento creativo e nell’informatizzazione crescente dell’essere. Ma per avere un’intensificazione ontologica, per quanto ne sappiamo e possiamo congetturare, è necessaria un’evoluzione basata sulla materia e l’energia, con tempi lunghissimi e spazi immensi per consentire il lento intreccio di tutte le probabilità/possibilità. Con la progressiva aggregazione della materia Dio non interferisce, con essa non si accoppia, non avendo accesso ad alcuna costante fisico-chimica di accoppiamento; come i miliardi di neutrini che continuamente attraversano la Terra ed i suoi corpi (noi compresi che siamo incessantemente bucati ogni secondo da moltissimi miliardi di tali particelle) senza la benché minima interferenza. I processi fisici sono sufficientemente “aperti” per ospitare gli atti di agenti umani, ma non quelli divini (ad eccezione dell’illuminazione puramente spirituale della mente e della coscienza).

Mauro Pedrazzoli

(continua)


 
 
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