LIBRI
C’è la democrazia e nessuno ci va!
Lo storico tedesco Ekkehart Krippendorff, difficile nel nome quanto semplice e simpatico nel tratto umano, innamorato dell’Italia, pubblica un libro gustoso e serio, L’arte di non essere governati (Fazi Editore, 2003), col sottotitolo curioso: Politica etica da Socrate a Mozart. Vuol dire «non essere governati in questo modo e a questo prezzo». Insomma, critica le forme politiche in nome del fatto politico sostanziale, che è il dibattito pubblico sulle cose comuni, il senso morale e il buon gusto, la politica come relazione, non potere degli uni sugli altri, rapporto di convivenza con tutti gli altri, dove nessuno è assoluto e tutti preziosi e importanti, dove regole chiare bandiscono violenza e vendetta.

Per Krippendorff, più delle posizioni ideologiche e dottrinarie, conta la relazione umana, tendenzialmente amico-amico (all’opposto dell’idea di Schmitt), che, insieme a regole certe, fa la cittadinanza. Anche amore e perdono (vedi il Sudafrica fuori dall’apartheid) sono elementi della politica, dice l’autore nel dibattito torinese sul suo libro. Qualità della sinistra sono: pensare la politica come metodo di non-dominio, più che come progetti rigidi e ricerca di potere, la chiarificazione intellettuale, lo stare con gli sconfitti della storia, veri vincitori morali. Insomma, l’alternativa più dell’alternanza, il controllo del potere, più che la sua conquista. L’efficacia è ottenere il fine già nel metodo. La politica è un progetto più grande dell’uomo, non «realistico». Richiede capacità di autogovernarsi (auto-nomia), ben più difficile che obbedire a una gerarchia sociale. Tale impegno si misura in termini etici, l’etica del dibattito e dell’uguaglianza. Politica è la scoperta di dover aiutare i deboli, che la storia non vuole riconoscere. Correggere la storia è un progetto di non-realismo.

Come intellettuali, dice Krippendorff, siamo colpevoli se avalliamo la patologia del realismo. Che cosa è più grande dell’uomo? Il gusto del bello. Krippendorff riconosce l’importante ruolo politico degli artisti, per lui soprattutto di Mozart. I politologi non raggiungono questa dimensione, che invece deve essere integrata nel pensiero politico democratico.

C’è la democrazia e nessuno ci va! La politica come è fatta distrugge la politica. I discorsi realistici degli intellettuali scoraggiano la partecipazione, sono mero commento allo spettacolo. Tornare alla politica originaria, conclude Krippendorff, cioè autonomia, dignità, diritti umani, per andare avanti. Con questo criterio giudichiamo tutti i regimi.

Certo, Krippendorff non disconosce la necessità di azioni politiche precise sui temi del diritto, dell’ecologia, della pace con mezzi civili più che militari, della giustizia tra i popoli. La sua verità è paradossale: le cose concrete contano solo per il loro orientamento. Più del potere conta capire e sentire i valori umani in gioco.

Enrico Peyretti


 
 
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