LETTERE
Europa e America
Cari amici, mi sono spesso trovato in disaccordo con chi, come frequentemente Enrico Peyretti, ha la tendenza a dipingere gli Usa come la patria di tutte le iniquità. Ma oggi, e qui in Messico che è il meridione dei gringos, non posso nascondere che ho un poco di paura. Certo anch’io ho alcuni conoscenti liberals o democrats molto critici nei confronti dell’attuale amministrazione nordamericana; ma la situazione sociale ed economica non gioca in loro favore. La crisi economica statunitense continua senza che si veda un’uscita dal tunnel, e viene dopo un periodo di euforia che ha alimentato molte illusioni. Le classi medie americane sono impoverite non solo nel loro patrimonio e nel loro livello di consumi , ma – prospettiva terrorizzante – nei risparmi che dovevano servire per la vecchiaia (tutto il sistema pensionistico statunitense si basa sui valori di borsa). La crescita dell’Europa e dell’euro come potenza antagonista a livello mondiale costituisce una minaccia sorda al primato finora indiscusso di cui l’intero popolo si sentiva saldamente in possesso. Sono queste le condizioni ideali (e ben note alla storiografia della genesi dei conflitti) per cercare un riscatto nella forza e nell’impiego del potere militare contro capri espiatori astutamente individuati. Purtroppo queste condizioni non cambieranno radicalmente di qui alle prossime presidenziali. Continuo a credere che solo un’Europa forte e unita possa contenere l’imperialismo yankee, ma non è cosa che possiamo aspettarci di qui a lunedì prossimo...

Credo che la differenza tra me e Peyretti nell’impeto della posizione anti-statunitense (da quando sono in Messico preferisco non usare il termine di americani per definire il popolo Usa, perché i primi “americani” non furono loro), risieda principalmente nei diversi piani su cui esercitiamo la nostra critica. La sua si colloca su un piano che definirei pre-politico, di richiamo ai valori e ai princìpi. Io mi sento più influenzato dalla diplomazia, e dalla ricerca di risultati a breve termine. Vorrei solo spiegare che, da europeista convinto come sono, considero necessario assumere gli oneri che la posizione di seconda potenza mondiale ci impone. Tra questi la difficile ricerca di equilibrio nella critica alle dittature del primo, secondo o terzo mondo. In altre parole: noi europei siamo visti da molti come una autorità (politica, morale, economica, c’è un po’ di tutto in questa vaga percezione che molti popoli hanno di noi). Perdiamo di credibilità se – applicando per esempio il criterio matematico della proporzione tra spese militari – affermiamo per 250 volte che Bush è un dittatore prima di affermare una sola volta che anche Kim Il Sung lo è. Proprio perché non siamo statunitensi dobbiamo resistere alla tentazione di farci ossessionare da un mito, per negativo che sia; se ci lasciamo ossessionare da Bush, appariremo alla stregua degli americani ossessionati da Bin Laden prima, e da Saddam Hussein poi. Soprattutto la sinistra italiana ha questo dovere di lucidità e “misura” perché confrontata a una destra demagogica, e – quel che è peggio – a un elettorato ancora immaturo e infantile.

Stefano Casadio


 
 
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