TEODICEA/12
Il male naturale e il Dio creatore

C’è un indubbio nesso logico tra libero arbitrio e male morale, con tutte le sofferenze che l’uomo ha arrecato a se stesso ed agli altri; come abbiamo già visto, nemmeno un essere “onnipotente” può dunque creare degli esseri le cui decisioni sarebbero al tempo stesso libere e controllate da tale ente: di fronte all’impossibilità logica si arrende anche la presunta “onnipotenza” divina. Quindi il raggio delle possibilità logiche e ontologiche, anche per un essere sì supremo ma moralmente perfetto (buono, giusto e così via), è sostanzialmente più limitato di quanto normalmente si pensi. Occorre smetterla col malvezzo di inondare Dio con tutta una serie di onori metafisici ad oltranza, compreso quello di poter realizzare cose logicamente impossibili. Così la progressiva riduzione di comportamenti guidati dagli istinti ha dischiuso all’uomo uno spazio enorme di libertà, ma lo ha pure esposto a tutta una serie di rischi, non ultimo quello di assumere dei comportamenti distruttivi. Lo sviluppo dell’intelligenza non ha consentito soltanto un’ottimizzazione attiva delle condizioni naturali di vita ma anche, purtroppo, il perfezionamento crescente di armi di distruzione. Il formarsi dell’autocoscienza non ha favorito soltanto lo sviluppo di una coscienza morale, ma è diventato anche la fonte di tante e dolorose crisi di identità e di senso, oltreché di complessi di inferiorità. L’insorgenza della socialità, se da un canto ha ampliato enormemente la possibilità di sopravvivenza perché gli sforzi comuni hanno permesso uno sfruttamento ottimale delle risorse alimentari, dall’altro però ha innescato tra gli individui una concorrenza conflittuale e lacerante. 

Esiste pure una chiara correlazione fra la libertà e quelle malattie dovute in gran parte alla (ir)responsabilità umana: problema ecologico, inquinamento, stile di vita sregolato, scorretta alimentazione, alcool, fumo, droghe ecc.; le chiameremo malattie acquisite, da distinguere radicalmente da quelle genetiche.

Nessun nesso logico

Ma non v’è nessun nesso logico tra libero arbitrio e male naturale: ossia le calamità naturali come terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni, tornado ecc., e soprattutto le malattie genetiche, o comunque quelle non dovute all’incuria umana, che sono le più gravi e le più numerose. Tuttavia in passato, nell’ambito della dottrina della creazione e del peccato originale, si era instaurato un nesso giuridico-morale, insostenibile per i moderni: il peccato-colpa dei progenitori (Adamo ed Eva), e/o la caduta colpevole degli angeli ribelli, si scarica come punizione su tutta la discendenza in termini di malattie, morte, sudore, fatica, dolore, ecc. Ma la dottrina classica della colpa d’origine (sia angelica che umana) è in contrasto con le conoscenze ormai acquisite in paleontologia, perché postula per il mondo animale una situazione originariamente idilliaca da cui sarebbe bandita ogni sofferenza, conferendo al tempo stesso dei tratti piuttosto preoccupanti alla figura di un Creatore che costringerebbe dei viventi incapaci di colpa a pagare per colpe altrui, quelle degli angeli decaduti. Questo terribile Dio vendicativo è in flagrante contraddizione con l’amore e la grazia divina, anche se purtroppo ha imperversato per secoli la catena peccato-colpa-pena, resa ancor più assurda dal fatto che la punizione colpisce degli innocenti. Già ci sarebbe molto da discutere sul fatto che una punizione-vendetta colpisca un peccatore, figuriamoci un innocente. Se poi tentiamo una timida trasposizione del peccato d’origine (quello adamitico) nell’ambito dell’evoluzionismo, ci troviamo di fronte ad un acrobatico valore retroattivo per le sofferenze e le malattie delle specie antecedenti all’uomo, sia vegetali che animali, in particolare per le scimmie antropomorfe e gli ominidi.

Il male naturale non lo si può chiarire in termini creazionisti, ma solo in termini evoluzionisti. Per questo capisco l’autentica croce di tutti i cristiani/credenti pre-darwiniani (l’intera l’epoca antica, medievale e moderna sino a metà dell’800): il buio e la notte della loro fede in un Dio onnipotente e perfetto che ha creato direttamente le cose come prodotti finiti. In assenza infatti di una prospettiva evolutiva, sorge subito un problema: un Dio onnipotente e creazionista non poteva, detto brutalmente, fare le cose un po’ meglio? Ad esempio non poteva creare la Terra senza terremoti, senza eruzioni vulcaniche, senza la tettonica a zolle, e con una regolazione migliore del ciclo dell’acqua e dell’aria per evitare i disastri delle inondazioni e dei cicloni? E per quanto riguarda le specie viventi, non poteva crearle neutralizzando a monte le malattie (quelle genetiche e congenite) con un Dna a prova d’errore ed una trasmissione perfetta dell’informazione?

La chance dell’evoluzione 

L’evoluzione quindi non solo non è anti-cristiana, ma è una chance per uscire da certe aporie della teodicea diversamente insormontabili. Detto in altre parole a mo’ di slogan, si può (e si deve) fare scienza senza religione, ma non si può fare religione senza scienza, sia quella naturale che umanistica. Né vale la motivazione che la sofferenza prodotta dalla natura sarebbe funzionale al processo di maturazione umana, alla «formazione dell’anima», ossia allo sviluppo dell’intera personalità umana (morale, spirituale e intellettuale), come prodotto della provocazione e della risposta, del rischio e della sfida, nel cui ambito i mali naturali rappresenterebbero i presupposti necessari per il conseguimento di valori più elevati. Esistono innumerevoli casi in cui il dolore, nonostante tutta la buona volontà di sopportarlo umanamente e cristianamente, ha effetti deleteri, pone esigenze inaccettabili all’uomo, ne piega e danneggia il carattere, lo costringe ad occuparsi solo dei bisogni più primitivi dell’esistenza, lo istupidisce o lo rende cattivo.

Meriterebbe di essere approfondita la domanda del perché Dio non sia intervenuto prima della creazione dell’uomo per impedire la sofferenza degli animali; se lo avesse fatto in quel lasso di tempo non avrebbe ristretto l’ambito della libertà, poiché non esistevano ancora esseri dotati di libertà. La sofferenza degli animali, pre-umana, è la dimostrazione schiacciante che il male naturale non si spiega né col presunto rispetto del libero arbitrio, né con la «formazione dell’anima»; anzi non v’è proprio alcuna relazione, perché gli animali non dispongono né di un libero volere, né di qualità personali da maturare, né raggiungono uno spirito cosciente. Ma il libero arbitrio non vale neppure nel caso degli uomini. Non tiene infatti, nel caso del male naturale, il presunto rispetto della libertà umana: se un malato in piena libertà chiedesse a Dio di guarirlo, e se Dio lo esaudisse, dove sarebbe la violazione del libero arbitrio? Tale violazione varrebbe solo per il male morale, qualora Dio intervenisse ad impedirlo. 

Per quanto poi concerne il dolore fisico, non vale in assoluto la motivazione che sarebbe funzionale a segnalare specifiche disfunzioni o pericoli per l’organismo a cui porre riparo; infatti, pur essendo vero in parecchi casi, ci sono troppe eccezioni. Di fronte ad obiezioni del genere, l’ottimistica tesi leibniziana del miglior mondo possibile susciterà forse l’ilarità divertita dell’ateo, non però quella del teista, costretto a chiedersi perché mai Dio non abbia creato un mondo migliore di quello esistente.

Il miglior mondo possibile?

In termini evolutivi tutta la tematica leibniziana è fuori posto; non sappiamo se questo mondo, in atto e come prodotto finito, sia il migliore dei mondi possibili: in linea teorica le cose, nel corso dell’evoluzione, potevano anche andare diversamente (ma non più di tanto), in meglio o in peggio. Quel che si può ragionevolmente affermare è che invece il metodo dell’evoluzione, con la sua progressiva capacità di informatizzarsi, sia il miglior mondo in potenza. Sono i meccanismi, i programmi e le leggi ad essere le migliori possibili, non tanto il prodotto finito. Siamo nell’ambito di un mondo libero, e sin dall’inizio (compreso quindi tutto l’arco dell’evoluzione stessa); Dio ha perciò deciso di dar origine ad un tipo di vita significativamente aperta all’intelligenza ed alla personalità. Per la vita l’evoluzione è probabilmente una necessità metafisica, logica e causale; è da ritenersi comunque la migliore possibile. Migliore di tante altre, o di poche altre? Detto in altre parole, come si chiedeva Einstein, Dio ha avuto delle alternative nel creare il mondo potenziale? Riteniamo che, poste determinate condizioni come la compatibilità con una vita intelligente, libera e personale, le alternative si riducano drasticamente.

Quando si propongono delle ottimizzazioni, come un mondo senza terremoti e senza malattie, bisogna averne chiare le conseguenze di vastissima portata: non portano ad un universo solo leggermente modificato e settorialmente migliore, ma ad un universo dai connotati del tutto diversi e, in ultima analisi, popolato da abitanti del tutto diversi o addirittura da nessun abitante di tipo umano. Ad esempio un mondo senza terremoti, eruzioni, tettonica a zolle e deriva dei continenti, non sarebbe più quel sistema caotico necessario per l’isolamento geografico, l’adattamento delle specie e la creazione di nuove specie. Avremmo una Terra con la vita minima, popolata solo da batteri e virus, come è forse avvenuto su Marte in passato. La stessa presenza massiccia di batteri e virus testimonia la necessità di una continua mutazione per adattarsi e sopravvivere. Un mondo senza tali microrganismi sarebbe sì privo di influenze, epidemie e pestilenze, ma sarebbe anche un mondo senza adattamento, cioè un mondo completamente diverso senza evoluzione vitale: quindi un mondo senza vita. La stessa cosa vale delle malattie genetiche in generale, ed in particolare per la genesi dei tumori maligni che è legata al processo di scissione cellulare ed alle mutazioni del Dna, che peraltro sono state fondamentali per l’avvento dell’homo sapiens. Un mondo quindi senza variazioni e mutazioni genetiche sarebbe sì un mondo senza malattie e tumori, ma sarebbe anche, con un genoma minimo fisso e immutabile, un mondo completamente diverso, senza una vita significativa. 

Ora, un mondo senza vita, pur privo di terremoti e malattie tumorali, sarebbe migliore del mondo attuale? Sicuramente no! È quindi ontologicamente impossibile eliminare a monte il male naturale e nel contempo lasciare inalterato il cammino verso la vita cosciente. Tutti i suddetti elementi negativi, che però hanno avuto in passato una funzione positiva (come i terremoti e le eruzioni vulcaniche), sono l’inevitabile lato oscuro, l’ineliminabile prodotto collaterale della complessità della vita; meglio, possono essere eliminati o contenuti nei loro effetti devastanti, ma non a monte, bensì a valle: infatti la medicina dell’uomo ha sconfitto il vaiolo, pur lasciando inalterato il resto. Anche se in un senso diverso da ciò che pensava Leibniz, il nostro può essere giudicato, prescindendo dal male morale, come il potenzialmente migliore dei mondi possibili, rendendo la cosa compatibile con la fede nel Dio creatore.

Mauro Pedrazzoli

(continua) 


 
 
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