STRADE DELLA POLITICA / 2 |
La non passione della politica |
«La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza». Questa gemma di Blake conduce lontano, sapere senza aver osato, sulla propria pelle e sul proprio sistema nervoso, la tensione degli estremi è di certo pia illusione – e oltre non c’è che il regno dei «semidotti» di Pascal. Ma esiste un luogo da cui l’eccesso dovrebbe scrupolosamente essere bandito e nel quale la conclusiva saggezza sfocia nella consapevole rinuncia ad ogni estremo: questo luogo è lo spazio politico. Detto altrimenti, diventare politici significa sforzarsi di neutralizzare gli assoluti ed accettare di immergersi entro quell’immensa zona grigia che delimita la convivenza umana, senza la pretesa di trarne fuori un cielo immacolato. Ci si avvia su di un crinale pericoloso a credere che la politica sia ambito deputato alla verità, lo è semmai delle mezze verità, di quell’approssimazione (pachylos) che contrassegna per Aristotele il discorso politico. Non può che essere il terreno delle mezze verità, là dove i reciproci aliti s’incrociano l’assenza di residui di pazienza a tollerare l’odore un po’ aspro del vicino concretizza rischi perenni di scontro. Moderare le proprie ambizioni inaugura l’atto di buona volontà a premessa d’ogni equilibrio perseguibile. Con questo non s’intende sostenere che alcuni problemi essenziali non vadano posti con l’urgenza e la radicalità che meritano, piuttosto che è indispensabile comprendere che trasparenza assoluta, intemerata moralità, coscienze perfettamente linde corrispondono a stati dell’umano che in politica può essere preferibile non rincorrere con soverchio accanimento. Le ambizioni di purezza, quando esorbitino la sfera individuale, spianano strade ai mille totalitarismi possibili e fra l’integrità dell’anima bella e l’intransigenza del tiranno corre spesso un sottilissimo muro divisorio. Farebbe il bene di molti la lettura di un libro di Richard Rorty che s’intitola La filosofia dopo la filosofia (ma il sottotitolo, che traduce il titolo originale, rivela di più: contingenza, ironia e solidarietà) e che si conclude con il suggerimento di «privatizzare» le proprie ricerche del sublime ed intenderle come «irrilevanti dal punto di vista politico», poiché nella stessa persona possono convivere un individuo (privato) in cerca di assoluti ed un cittadino (pubblico) alle prese con la mediazione. E la mediazione è il condimento base di una politica che nutra speranze di attuazione, come lo è la medietà e, perché no, persino la mediocrità – quella buona mediocrità che in fondo è l’aria stessa che ci consente di restare in vita, e che forse, con opportuna riserva critica, è preferibile accettare piuttosto che pretenderne la minuziosa asportazione. Allora non so se sia più auspicabile che al potere vada la fantasia o il piglio metodico, magari un po’ petulante, del contabile scrupoloso, irrobustito certo da una giusta dose di dubbio etico e dall’assidua coscienza dell’umano, e non umano, dolore. Forse proprio di una sostanziale mancanza di passione si rivestono i più autentici tratti della saggezza politica. Di sicuro non dell’amore comunque, alla quale è rigorosamente estraneo, si può amare qualcuno fra i propri vicini infatti, certamente non i popoli, non «i» diseredati, «gli» oppressi, «i» deboli: diffidare di chi ama «gli altri» dovrebbe essere un codicillo irrinunciabile del proprio vademecum democratico. Allo stesso modo il linguaggio della politica non potrà che modulare tonalità assai diverse dai fervori del sermone e della predica (pratica nella quale, significativa coincidenza di opposti, Berlusconi e i pacifisti adolescenziali s’affratellano). Per il resto credo che a monte di tutto si trovi una divergenza culturale che sta alle origini della nostra civiltà: quella tra Platone e i Sofisti. Secondo il primo la Città deve sforzarsi di riflettere un Essere ed un Bene eterni, secondo gli altri il bene politico è costretto ad attagliarsi alla non linearità del reale ed a plasmare di volta in volta una soluzione che, nella valutazione di mutevoli circostanze, possa ritenersi la più opportuna (kairos). In politica quasi tutto discende da qui, in politica si può essere platonici o sofisti. Ma quanti pochi sofisti ci sono in giro però! Massimiliano Fortuna |