COSTITUZIONE EUROPEA |
Orgoglio e presunzione |
Riportiamo la proposta di preambolo alla Costituzione Europea elaborata dalla commissione presieduta da Giscard d’Estaing nella versione resa nota il 5 giugno. Rispetto alla precedente versione nel paragrafo sui «retaggi culturali, religiosi e umanistici» è stato eliminato il riferimento esplicito alle civiltà ellenica e romana, a un non meglio specificato «slancio spirituale» e alle correnti filosofiche dei Lumi. «La nostra Costituzione si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di una minoranza, ma della cerchia più ampia di cittadini», Tucidide II,37. Consapevoli che l’Europa è un continente portatore di civiltà; che i suoi abitanti, giunti a ondate successive fin dagli albori dell’umanità, vi hanno progressivamente sviluppato i valori che sono alla base dell’umanesimo: uguaglianza degli esseri umani, libertà, rispetto della ragione; ispirandosi ai retaggi culturali, religiosi e umanistici dell’Europa i quali, sempre presenti nel suo patrimonio, hanno ancorato nella vita della società la sua percezione del ruolo centrale della persona umana, dei suoi diritti inviolabili e inalienabili e del rispetto del diritto; convinti che l’Europa, ormai riunificata, intende proseguire questo percorso di civiltà, di progresso e di prosperità per il bene di tutti i suoi abitanti, compresi quelli più fragili e bisognosi; che essa vuole restare un continente aperto alla cultura, al sapere e al progresso sociale; che desidera approfondire il carattere democratico e trasparente della sua vita pubblica e operare a favore della pace, della giustizia e della solidarietà nel mondo; persuasi che i popoli dell’Europa, pur restando fieri della loro identità e della loro storia nazionale, sono decisi a superare le antiche divisioni e, uniti in modo sempre più stretto, a forgiare il loro comune destino; certi che, «unita nella sua diversità», l’Europa offre loro le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana; riconoscenti ai membri della Convenzione europea di aver elaborato la presente Costituzione a nome dei cittadini e degli Stati d’Europa, [i quali, dopo avere scambiato i loro pieni poteri, riconosciuti in buona e debita forma, hanno convenuto le disposizioni che seguono:] Il testo si apre e si chiude con due affermazioni di orgoglio e di presunzione europei. Chi volesse consultare la storia per trovarvi conferme dovrebbe tenere ben chiuse molte pagine. Gli europei che volessero misurarsi con civiltà diverse con lo spirito del dialogo e non dello scontro farebbero bene a non mettere troppo in evidenza queste affermazioni. Tra «i valori che sono alla base dell’umanesimo» sono giustamente indicati l’uguaglianza tra gli esseri umani, la libertà, ma anche il «rispetto della ragione». Se l’espressione significa riconoscimento del valore della ragione, era necessario scriverlo nella Costituzione, imporre come principio di legislazione un’evidenza culturale? Se l’espressione, invece, significa anche altro e ricorda in termini attenuati il culto della dea Ragione è opportuno scriverlo nella Costituzione? In questa ricostruzione delle radici culturali dell’Europa, la parola «progresso», più volte presente nel testo, assume un’aura ideologica che rende pesante l’orgoglio europeo delle tesi di apertura e di chiusura del testo e offende chi non si riconosce nell’ideologia del progresso. Non è facile fare un quadro sintetico ma equilibrato delle radici culturali di un continente carico di storia come l’Europa. Ma i padri costituenti europei devono assumersi questo compito? Una costituzione dev’essere un capolavoro di cultura giuridica e politica, non di cultura storica. Il miglior servizio che il potere, in questo caso potere costituente, può offrire alla cultura è di lasciarla libera, senza intervenire ad assicurare a qualche radice e corrente un posto nell’olimpo costituzionale, lasciando a terra e dimenticate le altre. Se il potere costituente comincia col nominare qualche radice culturale, deve completare il discorso con imparzialità e renderlo enciclopedico, riservando magari, per rispetto democratico delle minoranze, più attenzione alle radici più deboli e più incerte. Ma questa è la strada della lottizzazione, forse democratica, della cultura non della libertà culturale. Giuseppe Bailone |