Editoriale |
Nella tragedia che avvinghia i popoli israeliano e palestinese alle reciproche colpe ed errori, pur nella grande disparità di forza materiale, e li paralizza come due condannati legati perché affoghino insieme, rispunta forse in alcuni commenti l’idea giusta, difficile, necessaria, che fu di Martin Buber e recentemente di Edward Said, morto il 25 settembre: devono vivere insieme, devono trovare quello scatto di saggezza che a volte la disperazione suggerisce; devono fare uno stato binazionale, magari attraverso la fase di due stati federati; devono risorgere dalla tomba dell’odio. Un intervento di Avraham Burg sulla morte del sionismo ha avuto un effetto esplosivo sulla stampa mondiale. La discussione su Israele arrivato al capolinea, era stata lanciata da «Haaretz», il maggior quotidiano israeliano, di orientamento liberale che in agosto e settembre ha pubblicato due interventi dirompenti che riabilitavano l’idea di una soluzione binazionale: un solo unico stato per i due popoli. Uno dei due articoli è di Meron Benvenisti, già vicesindaco di Gerusalemme sotto il Teddy Kollek, vero ideatore dell’espansione tentacolare di questa città pianificata per escludere, soffocare ed espropriare i palestinesi. Non era mai successo prima che un giornale di orientamento liberale come «Haaretz» desse spazio a contributi che rimettono in causa la ragion d’essere dello Stato, sulla legittimità storica del quale la stampa israeliana è sempre stata allineata, anche i comunisti (vedi «La nonviolenza è in cammino» n. 681, del 21 settembre: ). Uno Stato binazionale? Così ha fatto il Sudafrica, non senza difficoltà e tormenti, ma realizzando un modello per molti. I due popoli israeliano e palestinese non sono composti solo di kamikaze indiscriminatamente omicidi, né di omicidi extragiudiziali (azioni egualmente delittuose e moltiplicatrici di dolori e vendette), né solo di capi dalla mente sclerotizzata nella logica militare, né soltanto di fanatici della solitudine etnica, che pretendono opposte investiture divine; sono soprattutto società civili, laiche, sofferenti e impaurite, ma destinate dalla storia a convivere. La comunità internazionale le veda così, le sorvegli d’autorità con l’interposizione della polizia Onu, le incoraggi a esprimere la saggezza politica della con-vivenza in luogo della con-morienza interminabile. Le religioni che cercano rispetto e dialogo sviluppino le energie di pace dell’ebraismo e dell’islam. Sulla strada attuale, nessuno dei due popoli può vincere. Né è possibile una pace che sanzioni sospetto, disconoscimento, odio e paura, asimmetria militare ed economica. Una pace-vittoria produce solo guerra di rivincita. Rinunciare a vincere è l’unica via di pace giusta. Ci sono volontà stolte e nefaste, in entrambe le parti, ma anche volontà sagge. Queste ultime sono il nostro partito, in Israele-Palestina. Intanto, sia lode ai 27 piloti militari israeliani che hanno obiettato insieme, con una lettera pubblica, alle spedizioni omicide nei territori palestinesi occupati. *** Il premierato forte, centro del progetto berlusconiano di riforma della Costituzione, è tutto colpa sua? L’anima dell’Italia è ancora quella della grande Costituzione del 1948? La coscienza dei diritti-doveri di tutti i cittadini verso tutti, e quindi la partecipazione attiva e vigile, nelle mille forme della vita civile riflessa nelle istituzioni, è abbastanza sveglia per non lasciarsi detronizzare da un premier faccendiere decisionista? Sanno ancora gli italiani che la politica è, sì, decidere sui problemi, ma prima, per decidere bene o meno male, è parlare liberamente e ampiamente, nella parresìa (poter dire tutte le opinioni e poterle fare circolare) sociale e infine nel Parlamento? Senza di ciò, le decisioni sarebbero di una parte, quella messa al governo, che si fa tutto, ed è totalitarismo. Il governo deve dipendere dal parlamento e questo dal dibattito pubblico generale. La democrazia è il governo delle leggi (del principio di legalità), e non degli uomini. La degenerazione del partito politico in “partito personale” (completa in Forza Italia, partito strutturato dal solo principio di cooptazione, privo di ogni ombra di democrazia interna), prefigura un destino di governo personalistico e populista-demagogico, che ora c’è di fatto, contro il senso della Costituzione, e che Berlusconi vorrebbe rendere regola costituzionale. Davvero gli italiani, in cambio del divertificio televisivo nazionale (divertimento-diversione, dirottamento politico), sono in maggioranza disposti a questa sorte? Le agenzie morali (pensiamo alla chiesa cattolica, con la bocca finora tappata dal buono scuola) e intellettuali (queste già più libere), quando si assumeranno tutta la responsabilità di dire la verità alla coscienza del paese? L’opposizione politica parla agli italiani più del fallimento economico del governo (argomento serio) o della loro dignità civile insidiata (argomento più serio)? *** La guerra senza fine all’Iraq è sempre più sconcia per chi l’ha voluta e sempre più dolorosa per chi la subisce. Il governo Usa ha saputo distruggere una dittatura meno pericolosa di esso stesso, e le infrastrutture di una società civile, ma non sa promuovere né la democrazia né la vita normale. Oppure non vuole, perché il suo scopo, oltre il petrolio, sono gli affari della ricostruzione e non la ricostruzione della vita. Invece di affidare il restauro delle infrastrutture a chi le ha costruite e conosce il territorio – la Siemens tedesca e la Abb svedese per la rete elettrica, e l’Alcatel francese per i telefoni – Washington non rinuncia a punire i governi della vecchia Europa per assicurare succulenti contratti a società finanziatrici del partito repubblicano («Le Monde Diplomatique», settembre 2003, p. 12). Il cinismo di tutta l’operazione conduce a condannare quella guerra anche le tardigrade maggioranze silenziose di Usa e GB, che si rendono conto adesso dell’inganno passivamente subito. Ricorrere all’Onu e agli stati, pretendendo soldati e dollari, per sostenere le conseguenze del disastro, voluto senza e contro di loro, è il colmo della sfrontatezza ricattatoria imperiale. Solo il Cavaliere Impresentabile è capace di sciogliersi in ammirazione del Texano Inaccettabile. Chi dava per morta l’Onu, senza riconoscere che il rifiuto di avallare la guerra era stata la sua forza, deve ora vedere la nuova necessità del concerto delle nazioni, nelle istituzioni e nel diritto internazionale di giustizia, per gestire in modo passabilmente decente i problemi globali. *** Ci sono mercenari per uccidere e mercenari per calunniare gli avversari politici di chi li paga. Così, all’interno del paese, tra le insensatezze esibite da un premier ignorante e le volgarità di un ministro zotico, tra l’economia creativa e fallimentare e l’impoverimento della scuola e specialmente dell’Università, abbiamo dovuto sopportare il rumore sinistro della trappola Telekom-Serbia, costruita lungo i mesi da manovratori di calunniatori professionali, mercenari dell’infamia (vedi la documentazione impressionante di Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, «la Repubblica» del 26 settembre 2003). Caduta nel vuoto l’accusa di tangenti, sono passati all’accusa politica di operazione in forte perdita. Può essere, si vedrà. Ma la porcata, mediante malfattori abituali, c’è stata e si è rivelata tale. La falsa accusa come arma politica qualifica chi la cusa come l’anti-politico per antonomasia, più che mai inadatto a governare. Menzogna e calunnia non sono peccati privati. La politica democratica esige rispetto sacro delle parole, perché sulle parole veritiere è fondata, non sulla forza, non sulle false apparenze, ma sulla fiducia civica. Chi mente e calunnia non è solo un disonesto: non è un politico, non è un lavoratore per la polis. [ ] |