PROGRESSO
La svolta epocale degli anni ’70

In numerosi articoli del foglio, il sottoscritto ha polemizzato contro i laudatores temporis acti. Valori di una volta? No, grazie! La religiosità di una volta, i doveri verso la famiglia e la patria, in genere i modelli tradizionali di comportamento contenevano più elementi negativi che positivi. Questo significa che la storia dell’ultimo secolo, o degli ultimi cinquant’anni, segni un costante progresso?

Trent’anni di progresso

Penso si possa dire che i trent’anni che seguono la fine del dopoguerra (cioè dal 1948), i primi trent’anni della nostra Costituzione, abbiano segnato un effettivo progresso in vari campi.

1) La politica. Educarci alla democrazia, alla libertà, al pensiero critico ed autonomo dopo i vari lunghi anni della dittatura. Decentramento, partecipazione: dall’ordinamento regionale ai comitati di quartiere, ai consigli scolastici, alle assemblee di base. Diffusione dell’istruzione: riforma della media, boom delle superiori, moltiplicazione delle biblioteche.

2) La vita materiale. Miglioramento delle condizioni di lavoro sia per quanto riguarda la fatica fisica, sia per le garanzie: dal licenziamento politico (Fiat) allo Statuto dei Lavoratori. Si ha in generale un passaggio da una società agricola in gran parte arretrata ad una società industriale, pur con tutti i suoi costi umani. Il bilancio tuttavia è positivo. Chi può rimpiangere la durissima vita di molti agricoltori ancora negli anni Cinquanta? Per il mondo industrializzato «il terzo quarto del secolo ha segnato la fine di sette o otto millenni di storia umana, iniziati all’età della pietra con l’invenzione dell’agricoltura, se non altro perché è venuta al termine la lunga èra nella quale la stragrande maggioranza del genere umano è vissuta coltivando i campi e allevando gli animali» (Hobsbawm, Il secolo breve, Rizzoli 1995, p. 21). La diffusione di elettrodomestici come frigoriferi e lavatrici alleggerisce notevolmente il lavoro domestico. Anche la diffusione dei telefoni, dei televisori e delle auto private, in un primo tempo, favorisce una maggiore comunicazione.

3) La vita familiare. A poco a poco si ha un diverso rapporto tra uomini e donne. Sempre di più viene messa in discussione la doppia morale, molto più indulgente per i maschi. Anche nei rapporti fra le generazioni si ha un lento superamento dell’autoritarismo tradizionale.

4) La speranza. Malgrado la “guerra fredda”, la speranza di pace è molto più fondata che nei primi tragici decenni del secolo. Spariscono gradualmente, e per lo più pacificamente, gli imperi coloniali: il mondo sembra diventare più unito, fondato su rapporti paritari tra i popoli. Anche Papa Giovanni e il Concilio contribuiscono a questo clima di fiducia nel futuro. Nascono molti bambini, accolti in modo sempre più cosciente e responsabile. Nei moti sessantotteschi, pur nella confusione, c’è una grande speranza: la società si può cambiare, il mondo si può cambiare, i rapporti privati possono cambiare.

Questo progresso significa autentico benessere? La libertà rende gli uomini più umani, non sempre più felici. Tuttavia studi compiuti recentemente con metodi sofisticati (analisi della saliva, registrazioni dei movimenti dei muscoli facciali, asimmetrie delle attività cerebrali), indicano che un passaggio da una società misera ad una società libera dai bisogni primari porta a un incremento significativo dei livelli di felicità (A. Anderson, da New Scientist, in «La Stampa» 27-12-2001).

E dopo gli anni Settanta?

«Sembra che il secolo breve sia passato attraverso una breve Età dell’oro, nel suo cammino da un’epoca di crisi a un’altra epoca di crisi, verso un futuro sconosciuto e problematico» (Hobsbawm, op. cit. p. 18). Per verificare la fondatezza di questa affermazione analizziamo brevemente la situazione negli anni Settanta. In Italia, grazie anche alla criminale stupidità delle Br, tramontano le speranze in un progressivo rinnovamento della società. Nel mondo crollano i miti (Cina, Vietnam). Si ha un senso crescente di delusione e di disincanto. Molti scienziati denunciano i pericoli della crescita illimitata, mentre alcuni studiosi “apocalittici” profetizzano l’avvento di un nuovo medioevo e propongono un radicale “desviluppo”.

Nel ’76 il Pci raggiunge il suo massimo storico e pochi mesi dopo Berlinguer pronuncia un discorso alla presenza di molti intellettuali: «L’austerità può diventare fattore decisivo di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie. Noi poniamo l’obbiettivo del superamento di modelli di consumo e di comportamento ispirati ad un esasperato individualismo; poniamo l’obiettivo di andare oltre l’appagamento di esigenze materiali artificiosamente indotte. Come spesso nelle società decadenti vanno insieme e imperano le ingiustizie e lo scialo, così nelle società in ascesa vanno insieme la giustizia e la parsimonia». Questa coraggiosa presa di posizione di Berlinguer sarà criticata aspramente anche all’interno del suo partito e contribuirà all’avvio della crisi della sinistra.

Che dunque è rimasto del progresso degli anni Sessanta e Settanta?

1) La politica. Si ha disaffezione dalla politica, una fuga dalla partecipazione. Calano i votanti, vengono disertate le assemblee ad ogni livello, precipita in genere l’interesse per la società, cioè la voglia di risolvere in comune i problemi comuni. I politici, nei loro discorsi, evitano accuratamente i temi a largo respiro, temi difficili che rischiano di far perdere voti.

2) La vita materiale. L’Igp (Indicatore genuino di progresso) è stato proposto da un gruppo di scienziati come misura dell’effettivo benessere. In contrasto con l’andamento in ascesa del Pil, l’Igp ha registrato un declino a partire dagli anni Settanta (State of the World 1997, Isedi, p. 184, citato anche dal Wuppertal Institut). Anche secondo Anderson, una volta raggiunto un minimo di agiatezza, il legame tra aumento di ricchezza ed aumento di benessere si spezza. Ma anche nella nostra vita quotidiana possiamo osservare che spesso la diffusione del consumismo genera malessere. Sulla positività di vari fenomeni (aumento della motorizzazione privata, diffusione di condizionatori, computer, cellulari) si possono sollevare seri dubbi. Ma anche ammettendo che si tratti di fattori positivi, il loro impatto non è da paragonare con quello della diffusione di frigoriferi, lavatrici, ecc. nei decenni precedenti.

3) La vita familiare. È un argomento delicato che suscita interrogativi. Il permissivismo giova ai bambini, ai giovani? Le brevi “storie”, la cosiddetta liberazione sessuale significano autentica liberazione umana?

4) La speranza. Dopo le grandi speranze dell’89, la situazione internazionale si è deteriorata e genera una diffusa inquietudine. Nella Chiesa il Concilio sembra affossato. Le capacità mediatiche del Papa non sembrano avere portato ad una maggiore diffusione del messaggio evangelico. Si diffonde una religiosità paganeggiante e orientaleggiante. Ma il sintomo più grave di questa perdita di speranza è la diminuzione delle nascite. I giovani sembrano non credere più nel futuro. Questo è un dato di fatto tragico.

E ora? Non è il caso di lamentare più di tanto le occasioni mancate, la cecità di tutti davanti all’appello della storia. Non è il caso di nutrire speranze infondate. Forse non resta altro che spargere semi di solidarietà e di speranza, anche di utopia. Forse germoglierà qualcosa per i pronipoti dei nostri pronipoti.

Dario Oitana


 
 
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