A 60 ANNI DAL 1943
Pellegrinaggio ai martiri antinazismo


Bolzano e Monaco

In 33 da varie parti d’Italia, ci troviamo a Bolzano, il 7 agosto. Saliamo a Stella di Renon, alla tomba di Josef Mayr-Nusser, obiettore sudtirolese all’esercito nazista. Francesco Comina ci illustra la sua resistenza morale, religiosa, politica, e il suo martirio.

A Monaco, l’indomani, incontriamo in Università Franz Josef Müller, 79 anni, presidente della Fondazione Rosa Bianca, vivace e simpatico. Rosa Bianca, Weisse Rose, era il nome del gruppo di studenti, animato dai fratelli Hans e Sophie Scholl, che nel 1942-43 (già prima di Stalingrado!) diffuse in migliaia di copie sei successivi forti volantini anti-nazisti. Il nome era suggerito dalla lotta di libertà olandese (Sophie aveva letto Schiller, poeta della libertà). Oggi i volantini sono riprodotti in ceramica sul pavimento della piazza dell’Università.

Gli studenti della RB in maggioranza venivano da Ulm, città emancipatasi dall’imperatore nel 1300-1400. Erano educati alla libertà. Nella città di Wittenberg, dove il nazismo ebbe il minimo di consensi, i ginnasi furono ridotti da 17 a 3, dopo 5 anni di nazismo. Il regime temeva l’indipendenza della cultura classica.

Più di 100 persone in tutta la Germania erano collegate alla RB. Si diceva che la gioventù tedesca era tutta di Hitler: Hitlerjugend. Gli uomini per la guerra e il governo, le donne per la riproduzione. Ma nella famiglia Scholl c’era uguaglianza tra Hans e Sophie.

Anche Müller diffuse i volantini avuti da Sophie. Il ciclostile era a 500 metri da qui. Müller aveva 18 anni: dietro l’organo di una chiesa protestante (deserta nei giorni feriali), mentre uno suonava, gli altri copiavano indirizzi dall’elenco telefonico per inviare i volantini. Sei della RB sono ancora in vita, di cui 4 del ginnasio di Ulm. Müller è uno dei più giovani. Fu condannato a 5 anni, liberato dagli americani. Non furono tutti uccisi per non sconcertare la popolazione, dato che, per il nazismo, «non può esistere quello che non è lecito», cioè una gioventù ribelle. La RB equiparava Stalin e Hitler, ma in carcere conobbero e capirono i comunisti e la loro lotta. Müller ci mostra la balconata più alta, sulla destra di chi entra nell’Università, dalla quale i fratelli Scholl si liberarono degli ultimi volantini. Un inserviente, per farsi dei meriti presso il regime, gridò e li fece catturare. Furono ghigliottinati con alcuni compagni lungo il 1943.

I volantini, specialmente gli ultimi, non portavano solo proteste, ma proposte, e anche molto attuali, guardando al futuro: Europa unita, fine della guerra, stati europei alla pari, fine del totalitarismo, pace in tutti gli stati.

Müller è riconoscente verso gli Usa. Il comandante Usa che lo liberò disprezzava i tedeschi, ma un soldato disobbedì al capo e gli diede le sigarette. «Invece il soldato tedesco obbedisce sempre!» Müller è stato più volte in Usa, dove la RB è molto conosciuta. Oggi può dire agli americani: avete fatto molto male in Iraq!

Nella RB – dice – eravamo dilettanti (in tedesco si dice amateur, dal verbo «amare»). Eravamo portati dal cuore, per conservare il bello della Germania, la sua cultura, la sua civiltà. Il gruppo di Ulm era più pratico, non fu mai scoperto.

In questo edificio dell’Università c’era atmosfera di libertà, di protesta. Il Gauleiter di Monaco fece un discorso in Università, in cui offese le studentesse (durante la guerra erano molte): «Invece di studiare fate ogni anno un figlio al Führer!». Scoppiarono proteste, intervenne la polizia, molti studenti abbandonarono l’aula. I fratelli Scholl ritennero giunto il momento buono per la rivolta. Era la prima sommossa e protesta pubblica dopo 10 anni. Invece, al loro arresto e condanna, non successe nulla!

Müller era amico di famiglia di Stauffenberg (l’ufficiale che attentò a Hitler il 20 luglio ’44). Come ampliare la protesta? Solo i soldati avrebbero potuto.

C’erano altri gruppi oltre la RB. Müller dice: «Il nostro problema era: morire per Hitler o contro Hitler. Dei 18 miei compagni di classe, il 50% sono morti la prima settimana in Russia. È un crimine militare non ancora discusso in Germania: venivano mandati giovani al fronte dopo 7 settimane di esercizio – senza sparare per risparmiare pallottole! – a 18 anni di età». Ma Sophie – osserviamo noi – non era obbligata alla guerra; la sua azione è stata ancora più pura.

Era obbligatorio salutare e inneggiare: Heil Hitler! («Salve Hitler! Salute a Hitler!»). Gli studenti della scuola di Müller dicevano: Heilt Hitler (heilt = «Curate Hitler! Risanate Hitler!») e i superiori non udivano la differenza!

Ho consegnato a Müller, per il museo della RB (nella stessa Università), i miei documenti in italiano e tedesco su Josef Schiffer (il mio amico quasi novantenne di Düsseldorf, che fu soldato operatore di pace, nell’occupazione italiana), la bandiera grande della pace e la sciarpa leggera della pace. Facciamo varie foto, davanti al monumento alla RB, nell’atrio dell’Università, con Müller, con i bambini, e con la bandiera.

Dachau, e le tombe fiorite

Pomeriggio alla vicina Dachau. Il museo è ingrandito rispetto al 1984, quando vi passai con la famiglia. È una nuova profonda esperienza di contatto con l’ingiustizia più atroce e massiccia, con la sofferenza più abbandonata, con la memoria che ci deve preservare dal ripetersi di simili orrori.

A Monaco, alcune bandiere della pace, in italiano. Incamminati per Salzsburg, passiamo alle tombe dei fratelli Scholl e di Christoph Probst, loro compagno. Le braccia delle croci di Hans e Sophie sono congiunte tra loro. Un roseto di rose bianche, tra loro. Si canta Da nobis pacem, guidati da Gina Abbate. Raccolgo qualche filo d’erba sulla tomba, che conservo. Arriviamo a Salisburgo, dove troviamo ad aspettarci il vescovo Bettazzi.

St Radegund

Sabato 9 agosto, da Salzsburg a Obermithing, paese che dispone di una chiesa abbastanza grande – l’altare di legno dorato è ornato di girasoli di questa bella campagna – per la quantità di convenuti da molte parti (anche dall’Inghilterra e dalla California, e altri italiani), per il 60° della decapitazione, il 9 agosto 1943, di Franz Jägerstätter, il contadino di St Radegund, autodidatta, obiettore alla guerra nazista. Si succedono interventi, musiche, cori. Intervengono anche Giampiero Girardi, la guida del nostro gruppo, e Bettazzi, breve, incisivo, che cita: «Quel che hai nascosto agli intelligenti e sapienti lo hai rivelato ai semplici» (Matteo 11,25). Che possiamo noi oggi capire come capì Franz Jägerstätter, e non i sapienti. Contro la corrente è il titolo di una bellissima musica di Albin Zaininger, sui testi di Franz Jägerstätter, alternata a letture di testi: si va dalle tenebre più nere alla luce, con una musica infine dolce, fluida, alta, volante.

Stringo la sottile mano di Franziska, la vedova di Franz; ha 90 anni, cammina diritta e chiara, un viso dolce e pieno di cose vissute: mi sembra di toccare la mano di Franz.

Marcia di 10 km da Obermithing a St Radegund, per piccole vie di campagna, in un dolce panorama collinare. Unico peso il forte caldo. Due punti di ristoro organizzati e uno spontaneo, offerto da una casa sul percorso. La casa natale di Franz Jägerstätter, a St Radegund, ben curata per la memoria di oggi, rivela la solida vita contadina di allora.

Siamo alla tomba di Franz Jägerstätter, addossata al muro della chiesina del cimitero del piccolo paese. Poso una sciarpa leggera della pace sul roseto a capo della tomba. Sulla lapide il versetto di Matteo 16,25-26: «Che giova all’uomo conquistare il mondo, se perde il senso della sua vita?». Penso: un morto come questo – incatenato, decapitato, sotterrato, tacitato, annullato – agisce, parla, convoca, insegna, ammonisce, testimonia, riunisce, incoraggia, consola, guarisce, mette in cammino, trasmette uno spirito, dunque vive: è molto più vivo lui oggi di quanto era vivo e potente chi allora lo ha ucciso. Sperare si deve.

Messa dei martiri perché oggi, combinazione, è la festa di Edith Stein. Celebrano il cardinale Schönborn di Vienna, il vescovo di Linz, Bettazzi, e diversi preti locali. Omelia del viceparroco locale, meditativa, non celebrativa. Comunione distribuita fino ai molti fuori dalla chiesa: Der Leib Christi («il corpo di Cristo»). Alla fine della messa Franziska legge di nuovo le beatitudini secondo Matteo.

Processione di pochi passi ma interminabile per la quantità di presenti, dalla chiesina alla vicina tomba, a depositare lumini accanto alla tomba, cantando All mein Licht und mein Heil, das ist der Herr. Alleluja alleluja («tutta la mia luce e la mia salvezza, questo è il Signore», salmo 26,1). Intanto è scesa la notte. La tomba è illuminata a giorno dai lumini, circondata dai bambini.

Scambio la bandiera della pace nostra con quella di Fred (californiano) e Monika (austriaca). La lunga toccante giornata termina con la buona cena nel giardino della vicina osteria (anche Franziska e il cardinale), rallegrata al nostro tavolo dalla fantasmagoria delle famose barzellette di Bettazzi.

Forti testimoni

Domenica 10 agosto. In pullman per il ritorno, dopo una visita della bella Salisburgo (atmosfera del festival musicale; un grande drappo bianco Absolut Peace a una finestra di Herrengasse), ci scambiamo alcune riflessioni. Abbiamo incontrato in questo viaggio la testimonianza laica e culturale della RB, quella religiosa di Mayr Nusser e di Jägerstätter (è avviata per entrambi la causa di beatificazione; perplessità su questo fatto, anche se può essere un segno), ma entrambe basate sulla scrittura: la cultura classica per la RB, la Bibbia per Jägerstätter. Ci sono stati partigiani (come mio padre, dice Antongiulio) non per mire politiche ma per coscienza personale, anche solitaria. Problema delle scelte personali e della mediazione: qual è il male minore? come essere testimoni? Qualcuno ricorda che mentre era portata in lager Edith Stein disse: «Andiamo per il nostro popolo». Le beatitudini lette da Franziska contengono la forma più alta di perdono.

Che la “compresenza” tra tutti noi di questi forti testimoni ci accompagni e ci sorregga nella resistenza alle violenze in atto oggi. Che mai più sia necessario morire per dire e fare la verità. Eppure, che «la ripugnanza ad uccidere sia per tutti più forte della ripugnanza a morire» (Simone Weil, La prima radice); che in noi la decisione sia più forte della rassegnazione a lasciar morire tante vittime delle ingiustizie globali.

Enrico Peyretti


Franz Jägerstätter, un contadino contro Hitler, di Erna Putz, ed. it. a cura di Giampiero Girardi, Berti, 2000,
pp. 252, € 13. Reperibile presso l’Editrice Berti, via Legnano 1, 29100 Piacenza, tel. 0523.321322; fax 0523 335866; email:

Franz Jägerstätter, il testimone solitario, di Gordon Zahn, Editoria universitaria, Venezia, 2002, pp. 200. Reperibile presso l’Editore Alberto Gardin, c.p. 570, 30100 Venezia, tel. 041.5246242, http://www.editoriauniversitaria.com,

Non giuro a Hitler. La testimonianza di Josef Mayr-Nusser, di Francesco Comina, prefazione di Albert Mayr, San Paolo, Alba, 2000, pp. 116.

Sophie Scholl e la Rosa Bianca, di Paolo Ghezzi, Morcelliana, Brescia, 2003, pp. 230.

La Rosa Bianca: un gruppo di resistenza al nazismo in nome della libertà, di Paolo Ghezzi, Paoline, 1993, pp. 307.


 
 
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