Il crocefisso simbolo di identità culturale e nazionale

Vent’anni fa la presenza del crocefisso nei locali della scuola e dell’amministrazione pubblica era irrilevante e stava sparendo. Il crescere della presenza islamica l’ha rivitalizzata e resa oggetto di appassionata difesa, non tanto ad opera dei credenti quanto dei laici più refrattari al messaggio cristiano e ai valori rappresentati da questo simbolo.

C’è chi dice che non bisogna cedere alla richiesta islamica (che tra l’altro non c’è, perché proviene da un solo islamico e per di più di formazione culturale occidentale) di rimuovere il simbolo più espressivo del cattolicesimo, in quanto gli islamici non coglierebbero in questo un segno di laicità, ma di cedimento e di debolezza. E c’è chi sostiene che essi dovrebbero abolire le gravissime commistioni tra fede politica di casa loro, prima di pretendere che noi rimuoviamo gli ultimi residui di tale commistione in casa nostra. Costoro finiscono col far dipendere le nostre scelte non dalle nostre libere e maturate convinzioni, ma dai punti di vista altrui. Se siamo convinti che la politica e la religione, la cultura, l’etica, il diritto e la stessa fede, abbiano oggi da noi raggiunto un grado di maturità tale da poter vivere e convivere in un sereno rapporto di laicità, dobbiamo essere coerenti con ciò, con o senza islamici. Se non ne siamo convinti, diciamolo apertamente.

Ma, obiettano altri: il crocefisso è simbolo di identità culturale e nazionale. Nulla di più problematico. Innanzitutto perché un’identità culturale è sempre variegata e composita, frutto di molti scambi, nel caso, tra eredità classica, greca e latina, eredità ebraico-cristiana, innesti barbarici e persino contatti, non occasionali, con l’Islam. Essa non può essere sintetizzata in un solo simbolo, anzi è insintetizzabile, perché non è chiusura su di sé ma apertura, incrocio e contaminazione. In secondo luogo perché mai il crocefisso è stato simbolo di identità nazionale, né poteva esserlo, visto che tale identità si è formata in lotta con identità nazionali altrettanto cristiane: Sacro Romano impero di Barbarossa, Regni cristianissimi di Francia e Spagna, Impero asburgico e così via.

Il crocefisso, ribattono i più sensibili, è simbolo universale di pace e di tolleranza, quindi non può offendere nessuno, anzi. Purtroppo le nobili intenzione di alcuni non bastano, se la realtà dei fatti non segue, come mostra la storia. Quando il crocefisso è stato segno di identità, lo è stato come simbolo confessionale teso all’esclusione e non all’accoglienza, alla negazione violenta dell’altro non alla tolleranza. Basta pensare al suo uso nella persecuzione degli eretici e di tutti coloro che si appellavano alla libertà di pensiero e di ricerca, nei tentativi di conversione forzata degli ebrei. Basta pensare alla sua persistenza sulle bandiere di guerra, ben oltre l’avventura crociata e la battaglia di Lepanto. Del resto la ricerca insistita di simboli d’identità nasce dal desiderio di distinguersi dagli altri e di difendersi da loro reali o presunte aggressioni. Il vero universalismo non omologa, né destina le identità alla scomparsa, ma ne smorza le punte e le sfuma rendendole capaci di convivenza. Esattamente la direzione opposta di quella in cui va oggi la difesa, iper-protettiva, della presenza del crocefisso nelle scuole pubbliche.

Infine poche considerazioni in ottica di fede, quella oggi meno presente e meno ascoltata. Come ha scritto Eco «per un credente è atroce dover riconoscere che la croce è diventato un simbolo secolare». Quinzio lo diceva con altre parole: «Oltre la croce, c’è il perdere anche quest’ultima partecipazione al bene che è soffrire perdendolo. Sono certo che questa più che crocefissione, questa perdita-oblio del dolore del Signore è il senso di questi venti secoli di storia cristiana. Non è solo il Signore a morire sulla croce, ma è la sua parola che muore nella storia fino alla sua completa cancellazione» (Dalla gola del leone, 1980, p. 20). Il tutto non ad opera degli atei nostrani o degli immigrati islamici, ma dei cristiani che, dopo aver ceduto il copyright della croce a Costantino & C, sembrano non avere più il coraggio e la forza intellettuale e spirituale di rivendicarne il valore religioso e di presentare il mistero nella sua vera natura. Preferiscono salvare per sé qualche briciola di visibilità e di prestigio sociale, anche se questo va a scapito del volto sfigurato del Crocefisso e del suo significato kenotico di abbandono d’ogni identità forte, difensiva e aggressiva, nazionale e culturale, religiosa e politica.

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