LETTERE
La fiera della retorica di patria

Sono un po’ turbato stasera. O forse un po’ nauseato. È la sera dei funerali dei Carabinieri italiani uccisi in Iraq. Ma anche la sera della retorica patriottica, che ha dato il meglio di sé in questi giorni.

Sto finendo di sentire il telegiornale della notte, che racconta della processione, della Messa solenne, della solidarietà ai parenti delle vittime, morte in una missione di Pace.

Immagino le domande che mi farebbero i miei figli, se fossero più grandi: «Papà, perché uccidono gli italiani in missione di Pace?». Missione di pace. Certo, mica siamo in Iraq per fare la guerra... Noi siamo gli italiani, non siamo quei cattivi degli Americani che hanno scatenato la guerra: una squallida questione di controllo delle fonti strategiche di energia mascherata con l’aberrante concetto della guerra preventiva. Noi siamo gli italiani, non ce ne saremmo mai andati via sbattendo la porta in faccia all’Onu come fece George W. quando chiese di appoggiare la guerra ma si vide opporre un rifiuto: «Non ci sono elementi per dire che l’Iraq abbia armi chimiche», diceva più o meno Hans Blix, capo degli ispettori. «E noi la guerra ce la facciamo da soli!», replicava più o meno Mr. Bush, con aria seccata. No, noi siamo gli italiani, non faremmo mai cose del genere.

E non siamo nemmeno gli Inglesi, sudditi ai quali fu fatto credere che l’Iraq poteva scatenare la guerra nel giro di mezz’ora. Era una frottola, e il sig. Blair lo sapeva benissimo, e con lui una serie di collaboratori. No, noi siamo gli italiani, da noi il capo del governo dice solo la verità, ovviamente, ne siamo certi.

«Italiani, brava gente», diceva un Presidente del secolo scorso, quel bravo ligure con la pipa che in molti ricordiamo e del quale tutti abbiamo sentito parlare. Abbiamo anche appeso la Bandiera della Pace, anzi milioni di bandiere sui nostri balconi. Ma andiamolo a spiegare a quelli che oggi hanno saccheggiato lo scheletro della ex Camera di Commercio di Nassirya, alla ricerca di frammenti di piastrelle, pezzi di lavandini rotti, spezzoni di filo elettrico, che noi siamo diversi dagli Inglesi e dagli Americani: qui non c’è finzione che tenga, per loro siamo la stessa cosa.

Italiani, brava gente: «I nostri Carabinieri volevano replicare a Nassirya il modello della caserma di paese, vicina alla gente, e hanno pagato per la loro vicinanza», diceva oggi un commentatore alla radio: l’apice della fiera della retorica di patria.

Ebbene, c’è di che essere nauseati. Solo una piccola luce rischiara la giornata: un bell’intervento di don Albino Bizzotto a Caterpillar, trasmissione serale di Radio Due. Don Albino ricordava un concetto semplice, contemplando l’immagine del Crocefisso: l’Uomo perfetto, il Dio che è venuto fra noi, ha le braccia aperte. Aperte in un abbraccio, dove ci stanno tutti.

Ci possono stare i Carabinieri, morti mentre erano in guerra credendo di essere in missione di Pace. E ci possono stare le loro famiglie, vittime prima dei terroristi e poi dell’ipocrisia dei mass media.

Ma nell’abbraccio di Gesù ci stanno persino i terroristi. Giovani, o forse nemmeno più tanto, che muoiono per un loro ideale spirituale. Chissà se nell’ultimo istante della loro vita li avrà assaliti il dubbio, se si sia fatta strada nella loro mente assassina l’idea che stavano sbagliando. Il pensiero che la loro morte porterà divisione, ma che anche per loro sono spalancate le braccia del Cristo, che muore anche lui, ma per la grande Riconciliazione dell’uomo con il Creatore.

Stasera, prima di andare a letto, pregherò per i Carabinieri morti. E pregherò per i loro assassini, ma con più fatica. Il Signore mi perdoni per questo.

Paolo Fornetti



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