UN CONFRONTO A TORINO |
Nichilismo e cristianesimo |
Il nichilismo è l’ultimo e mortale avversario del cristianesimo? A prestare orecchio alle ricorrenti polemiche pastorali contro il vuoto di ideali dei nostri giorni, comunemente etichettato come nichilista, verrebbe da pensarlo. A scrutare la ricerca di pensiero, che al nichilismo si richiama, e la stessa indagine teologica, che con tale ricerca si confronta, si vede invece che le cose non stanno così. Il nichilismo, infatti, lungi dall’essere una corrente filosofica anticristiana, è un clima culturale, una situazione esistenziale in cui il cristinesimo vive e vive meglio che negli anni del positivismo e del razionalismo. Ecco una delle considerazioni che ci suggerisce il convegno su «Nichilismo e Cristianesimo», promosso dalla Pastorale della cultura della Diocesi di Torino, e svoltosi a metà novembre nell’aula magna dell’Istituto Avogadro, davanti a un pubblico insolitamente numeroso, interessato e partecipe. Lo ha chiarito ad apertura dei lavori e lo ha ribadito in chiusura don Ermis Segatti, responsabile dell’iniziativa: non ci troviamo, ha detto, per affilare le armi alla battaglia e neppure per giudicare e condannare, ma per confrontarci e capire. Capire l’altro, ma capire anche noi stessi. Perché, in certo modo, parafrasando Croce, anche noi oggi dovremmo confessare di «non poterci non dire nichilisti». I filosofi: Cacciari e Riconda Il convegno si è sviluppato in due mezze giornate. Nella prima il professor Cacciari ha delineato i diversi volti del nichilismo, alla ricerca del più autentico e radicale e, proprio per questo, del più aperto al confronto con la dimensione “altra” della fede. Per fare questo ha dovuto evidenziare la natura non autenticamente nichilista di chi si ferma a negare l’esistenza di un fine e di un senso delle cose per riaffermarne la nuda fattualità, di chi denuncia l’inconsistenza metafisica degli esseri per esaltarne la variabilità storica ed elevare quest’ultima a vera condizione del reale, di chi si appella alla relatività e alla casualità degli eventi per arroccarsi nel relativismo e nello scetticismo assoluto, che già Agostino denunciava come nuova e dogmatica certezza. Diversamente da queste sue forme spurie, che negano l’essere e si fermano alla precarietà degli enti con l’occhio calcolante e utilitaristico della tecnica, il vero nichilismo riconosce la nullità storica e mondana di quanto trascende il calcolabile e l’organizzabile dalla ragione, ma proprio a questo niente presta la massima attenzione, perché è esso che sta sconosciuto e nascosto alla radice. Non fondamento inconcusso, ma fondamento infondato; non essere necessario, ma possibilità di essere e di porsi anche come kenosi, come abbassamento dell’essere a ente. Il che non è, aggiungiamo noi, un cattivo modo per aprire il discorso filosofico al confronto con la teologia cristiana della creazione e della croce. Dialettica, anche non priva di punti di incontro con quella di Cacciari, la relazione del professor Riconda ha sviluppato i temi classici della contrapposizione tra nichilismo e cristianesimo. Richiamandosi a Pascal e Dostojevskij, egli ha denunciato, come limite intrinseco e gravissimo del nichilismo, la sua incapacità di confrontarsi seriamente con il problema del male e della libertà, con l’essenza drammatica della vita, e ha invitato la teologia a ripensare questi stessi temi, affrontando con serietà i luoghi teologici classici del peccato originale e della salvezza escatologica. I teologi: Gilbert e Repole La seconda parte del convegno ha richiamato l’attenzione sulla necessità di un nuovo linguaggio teologico. Padre Gilbert ha ben chiarito che la ricerca della verità nell’ambito etico e teologico non può essere esclusivamente affidata al sapere argomentativo e deduttivo di tipo logico e/o empirico. Non si tratta, infatti, di giungere a conclusioni incontrovertibili, ma a stili e modelli di relazione, fondati su un conoscere che dischiuda agli esseri la possibilità di darsi in tutto il loro sapore e risvegli in noi la capacità di porci con essi in rapporto di reciproco rispetto e non di dominio. Questo si ha quando il cammino alla conoscenza non si presenta come scienza ma come pensiero. Pensare il mondo, pensare Dio, pensare noi in relazione al mondo e a Dio. La verità del pensiero non è statica, ma sempre dinamica, non è dominatrice e definitoria ma dialogica, interpretante e pensierosa di sé e dell’altro. In questa dimensione di ricerca della verità don Repole ha proposto ai teologi di riscoprire, accanto al linguaggio argomentativo e dimostrativo della filosofia classica, aristotelica o cartesiana, il linguaggio narrativo, poetico, affettivo e patetico della Bibbia. Ne è nata una relazione che ha tentato di parlare di Dio non nell’orizzonte della dimostrazione metafisica, ma in quello dell’accoglienza della rivelazione. L’importante non è riaffermare genericamente l’esistenza e il primato di Dio, ma comprendere il senso della sua presenza tra noi e farli propri con la mente, col cuore e con la mano. È così che si scopre che il Dio cristiano non è il Dio dei filosofi, ma il Dio di Gesù Cristo: non il Dio assoluto e onnipotente dei metafisici, ma il Dio che cerca la relazione, crea, ama, s’incarna e si umilia sulla croce. Un Dio, appunto, cristiano ed evangelico. Santo di una santità non separata ma partecipata. Un Dio che propone all’uomo le beatitudini, perché lui stesso ne è il compendio, che non si chiude gelosamente nella perfezione del proprio essere, ma la sperpera per amore nella creazione e nella redenzione. Un Dio che non vive la propria bellezza e grandezza come autocontemplazione estatica ma come avventura dinamica, come teo-drammatica. Aldo Bodrato |