INTORNO AL LIBRO DI PANSA
Veri e falsi tabù

L’ultima novità, il libro sulle atrocità compiute dai partigiani di Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti, è stato presentato come «il ritorno del rimosso» che colpisce con forza travolgente quello che è a lungo rimasto un tabù. Sì, sarebbe ora di affrontare senza tabù la stupida ed eterna leggenda secondo la quale i crimini dei partigiani sono sempre stati nascosti al grande pubblico. I comunisti nel corso delle varie campagne elettorali venivano accusati delle atrocità compiute nel dopoguerra. Nei primi anni ’50 l’Italia era bombardata dai manifesti Pace e Libertà di Sogno, unicamente finalizzati a denunciare i delitti dei partigiani. Processi erano istituiti a carico di partigiani comunisti come il Comandante Gemisto (Moranino), rifugiatosi a Praga per sfuggire alla condanna. Non solo. Se spesso il Pci tentava stupidamente di difendersi dalle accuse, Cesare Pavese, collaboratore dell’«Unità», descriveva nel romanzo La luna e i falò le esecuzioni sommarie di alcuni supposti fascisti (tra cui una donna, Santina) per opera dei partigiani. Anche in La ragazza di Bube di Cassola il protagonista è un partigiano assassino. Persino i popolarissimi romanzi e film su Don Camillo ci rappresentavano talvolta alcuni aspetti violenti del feroce dopoguerra.

Mi si permetta di citare un ricordo personale. Il mio primo discorso “politico”, alla presenza dei dirigenti del Comitato Civico di Torino, è stato un attacco al Pci, responsabile di minimizzare i crimini dei partigiani. Ricordo di aver accusato i
comunisti di vilipendio alla Resistenza, in quanto incapaci di distinguere i veri partigiani dai delinquenti comuni. Questo è stato il mio “battesimo politico”, a diciott’anni; e non ho cambiato idea. Ora mi si vuole far credere che nessuno osava parlare di questi argomenti.

Il contagio del veleno fascista

Nel dopoguerra eravamo tutti corrotti, avvelenati, imbarbariti da quella orribile peste che fu il fascismo. Anche gli antifascisti erano diventati spesso “fascisti” nel cuore, nel modo di pensare. Così per es. il «Risorgimento liberale», organo del Pli, il 30 aprile 1945, descriveva quello che adesso ci appare uno spettacolo macabro e vergognoso, cioè lo scempio dei cadaveri di Mussolini, della Petacci e degli altri gerarchi a piazzale Loreto: «Oggi tutta la popolazione è una grande famiglia e lo scopo di giustizia per il quale tutti sono qua è troppo sacro perché vi siano preoccupazioni. A poco a poco, fendendo la siepe umana, gli ultimi sopraggiunti riescono a intravedere il gruppo dei cadaveri. L’odio e il furore si leggono sul volto di tutti». Sullo stesso quotidiano così commenta Mario Pannunzio: «Non è vendetta, questa, né volontà di sangue, ma semmai bisogno di giustizia, di purezza, di vita». Anche questi normali cittadini, anche un sincero liberale come Pannunzio erano stati contaminati dalle parole di Mussolini: «Non si fa la guerra senza odiare il nemico, dalla mattina alla sera, in tutte le ore del giorno e della notte, senza propagare quest’odio e senza farne l’intima essenza di se stessi» («Corriere della Sera», 24-2-1941); «Voi avrete la gioia di far fuoco su questo miscuglio di razze bastarde» («Corriere della Sera», 16-4-944).

Nel dopoguerra bande di centinaia, di migliaia di uomini armatissimi terrorizzavano l’Italia: Giuliano in Sicilia, La Marca in Campania, la banda del Bracco in Liguria. Altre bande minori erano sparse dovunque anche alle porte di Torino.

Il linciaggio dei ladri, anche dei ladruncoli di biciclette, era una pratica corrente, da Ciriè a Mantova, da Rieti a Torino. Questo rito viene descritto nel seguente tono, macabro e scherzoso: «In America si lincia per una donna, a Milano si lincia per una bicicletta... Il ladro viene assalito da decine di persone; se si uccide in dieci sembra di essersi divisa la colpa. I linciatori aspirano ad appendere le vittime agli alberi e ai lampioni» («La Stampa», 25-8-1946). Qui la politica non c’entra. O meglio, c’entra indirettamente. Questa barbarie diffusa è il frutto di 22 anni di educazione alla barbarie. Si linciava per una bicicletta. Sarebbe stato strano se l’odio accumulato contro i fascisti non avesse portato agli stessi orrori.

Criminali con le stellette

Sono altri i tabù che si dovrebbero abbattere, i miti che si dovrebbero sfatare. Ciampi accomuna Risorgimento e Resistenza. C’è del vero. Ma occorrerebbe denunciare onestamente gli orrori del Risorgimento, come si fa da 58 anni per la Resistenza. Sul giornale di Cavour i soldati austriaci sono definiti «canaglia tedesca» e «barbari», mentre gli autori della seguente impresa sono «bravi friulani»: «Udine ha aperto le porte. Sulle porte però si appesero i corpi dell’arcivescovo e di un colonnello tedesco, e di altri graduati per manifestare quale accoglienza v’avrebbero trovato. I tedeschi a tale invito non entrarono» («Il Risorgimento», 1-5-1848). Chi ci dice finalmente quale è stata la sorte delle decine di migliaia di “partigiani” borbonici dopo il cosiddetto brigantaggio? Sono stati puniti gli eroici autori dei massacri torinesi del settembre 1864 e dell’agosto 1917? Quali lapidi sono state dedicate alle vittime? Quanti sono a conoscenza degli orribili delitti di cui si sono macchiati i soldati italiani in Libia sotto Giolitti? (il foglio 276). I killer e i mandanti sono stati processati? Quando sarà proiettato nelle sale italiane il film Il leone del deserto (protagonista Anthony Quinn) sulla repressione in Libia sotto il fascismo? Attendiamo da vent’anni che la censura ultrabigotta (in questo campo) ci consideri cittadini maggiorenni.

Eccezionalmente, qualcosa trapela ogni tanto. Purtroppo notizie di questo genere non innescano polemiche e sono presto dimenticate. Citiamo da «La Stampa» (24-5-2001): «L’armadio della vergogna potrebbe contenere un milione di vittime di crimini di guerra (da parte dell’esercito italiano, ndr). Questo è il dato calcolato da Michael Palumbo, autore di un libro mai edito (perché? ndr). Sono note invece le ricerche di Angelo Del Boca sulle violenze italiane in Africa. Fra i tanti episodi il massacro di centinaia di monaci copti dopo l’attentato a Rodolfo Graziani. Spaventoso l’elenco delle atrocità compiute in Jugoslavia e Grecia, con centinaia di villaggi distrutti, migliaia di civili deportati, ordini di rappresaglia di stampo nazista (peggio, direi, ndr): fino a cinquanta ostaggi per un italiano. Nella sua Storia d’Italia nella guerra fascista, Giorgio Bocca cita stralci di lettere di soldati: “Distruggiamo tutto, senza risparmiare gli innocenti. Uccidiamo famiglie intere ogni notte”». Sono queste le notizie che lasciano senza fiato. Sono questi i tabù da rimuovere.

Dario Oitana

 
 
[ Indice] [ Sommario] [ Archivio] [ Pagina principale ]