MISERIE E NOBILTÀ DELLA TV
Dai programmi allo spazio pubblicitario

A dicembre su RaiUno abbiamo visto un Augusto in due puntate che si è meritato ampie rampogne sia di critici (A. Comazzi sulla «Stampa»: «una sorta di fotoromanzo di lusso») sia di storici (sempre sullo stesso quotidiano, S. Ronchey: «fare cultura per le masse significa convincerle che la cultura non esiste, che tutto è sempre stato come adesso, o meglio come gli stereotipi odierni vorrebbero che fosse»; e gli storici assoldati come consulenti?). Con Augusto e con gli antichi bisogna fare attenzione: altrimenti gli si presta la nostra voce. E questa è corruzione del pubblico, oltre che della verità storica.

Stupisce l’autodifesa dell’ex re (demo)cristianissimo della tv, Ettore Bernabei, da decenni protagonista della televisione nostrana. Due le sue obiezioni: «la Lux Video [la casa di produzione di Augusto da lui fondata] ha prodotto una ventina di film, tratti dalla Bibbia, che hanno avuto successo di pubblico e di critica». Chiunque abbia visto qualcuno di questi episodi, specie l’AT, può facilmente essersene fatto un’idea (cfr per es. L’Apocalisse non è così nel foglio 298): se questa è la Bibbia in tv, meglio... l’oscurantismo tridentino. Ma notevole è il secondo argomento: «Otto milioni di italiani hanno visto Augusto». La quantità è ormai garanzia della qualità. O, se vogliamo: ciò che conta è avere molti spettatori, molta audience, ossia molta pubblicità. Ma questo, Bernabei, pudico, non lo dice.

Mike-Dante e il medium-zero

Quanta strada ha fatto la tv da sceneggiati pedagogici come La vita di Michelangelo (1964) o Leonardo (1971) ad Augusto... Il 3 gennaio sono stati 50 anni giusti di tv. La trasmissione condotta da Pippo Baudo su RaiUno il giorno dell’anniversario è stata deludente, autoreferenziale al massimo sui personaggi del momento. Critici solo Sergio Zavoli e Michele Placido. Mike Bongiorno, presente ininterrottamente fin dal 1954, intervistato da Baudo si è vantato di aver insegnato l’italiano all’Italia con le sue trasmissioni. In effetti, è opinione comune che all’origine della trasformazione della lingua italiana da lingua eminentemente scritta e letteraria a parlata e popolare siano stati – semplificando – due fenomeni: le trincee della I Guerra Mondiale e poi appunto la tv. Mike come Dante.

Perché non possiamo fare gli snob, bollare tutti quelli che la seguono come minus habentes. Se davvero si vuole prendere sul serio la tv, bisognerebbe tener conto anche dei telespettatori, cercando di entrare con rispetto nei loro interessi e nelle loro passioni, anche quando queste siano discutibili, e non negarle dall’alto di una presunta superiorità (tipica di molti intellettuali). Sappiamo bene quanto possa essere condizionante il potere dei media, e della tv in particolare, ma non è attraverso il loro rifiuto che possono passare effettivi, e auspicabili, miglioramenti del mezzo, ma attraverso il suo utilizzo più consapevole, e un’analisi approfondita.

Bongiorno-Dante è stato anche il primo agli inizi degli anni ’80 a capire che non servivano più programmi per vendere la televisione, ma bisognava realizzare spazi pubblicitari per vendere prodotti. Anche in questo, dunque, a modo suo (anzi berlusconiano), è stato un maestro. Un punto sembra infatti acquisito: dal punto di vista del significato (diciamo del vecchio «programma», che la tv eredita da medium precedenti, come per es. la radio) il valore della televisione pienamente televisiva, dalla nascita della tv privata in poi, è nullo. La tv è quello che H. M. Enzensberger chiama, suggestivamente, «medium-zero». Più si espande come mezzo di comunicazione, meno la televisione si interessa di ciò che viene comunicato: il significato si riduce a zero a vantaggio del significante. In altre parole, la tv non fa né bene né male, perché è sostanzialmente nulla. Al più produce una specie di svuotamento: «la tv, come il turismo, non insegna mai la verità. Offre anzi l’immagine di un mondo artificioso, inesistente» (Enzensberger).

Lo studioso francese P. Virilio calca la mano sul “catastrofico”: «il monitor, il terminale del tubo catodico trae la sua forza dalla velocità assoluta con cui trasmette immagini (e messaggi) e non più dalla disposizione spaziale delle sequenze visive, come avveniva per es. nel cinema ... La trasmissione televisiva non permette alcuna forma di memorizzazione attiva, ma soltanto una reazione emotiva che ha nella violenza passiva il solo criterio, dato che i fanatici dello zapping non riflettono troppo sulle loro scelte intempestive». Insomma, una vera e propria «bomba informatica», pericolosa come la bomba atomica perché annulla ogni distanza spaziale e appiattisce su un eterno presente il superato concetto di futuro.

Ma già a metà degli anni ’70 Pasolini proponeva di abolire la tv, da lui definita una sorta di «nuovo fascismo»: «È stata la televisione che ha praticamente (essa non è che un mezzo) concluso l’età della pietà e iniziato l’età dell’edoné» (quante ore di tv nei giorni natalizi sono state dedicate alla cucina? solo a pensarci viene mal di pancia e nausea...). La televisione è considerata da PPP lo strumento principale della nuova barbarie, dato che in essa «i modelli non vengono parlati ma rappresentati». È passato un quarto di secolo, ma non gli si può dare torto.

(Molte delle informazioni riportate sopra vengono dalla Garzantina sulla televisione curata da Aldo Grasso. Strumenti come questo aiutano, se non altro, a studiare criticamente un fenomeno che influenza in modo non lieve le nostre esistenze. Che cosa fa la scuola per insegnare a decodificare la tv?)

Antonello Ronca

 
 
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