TEODICEA (13)
Dio conosce il futuro?

Dopo aver trattato il rapporto fra Gesù e il culto (le lezioni milanesi di p. Tragan sono state pubblicate sulla rivista «Filosofia e teologia» XVI, 2002, n. 2, pp. 309-29), riprendiamo la tematica della teodicea. Strettamente connessa al problema del male sia morale che naturale (Dio sapeva fin dall’inizio i futuri crimini dell’umanità, nonché l’epidemie e le estinzioni di massa?) sta la questione della scienza ed onniscienza divina, in particolare la sua eventuale pre-scienza dell’avvenire: Dio conosce il futuro? Ciò era affermato dalla teologia metafisica classica, che ha anche cercato disperatamente di rendere tale prescienza compatibile con il libero arbitrio umano; si pone infatti la questione cruciale e scottante: se Dio è onnisciente, quindi conosce il futuro e le decisioni degli uomini ivi situate, e se tale sapere è assolutamente certo perché Dio non può sbagliare, l’uomo è veramente libero nel prendere le sue decisioni? In tale quadro il futuro sembra chiuso. Ritorniamo ora su una grande teoria fisica del ’900, la relatività ristretta di Einstein, perché nella sua seconda parte (quella concernente la simultaneità relativa, oggetto di grandi discussioni e contestazioni) va nella medesima direzione del futuro chiuso e pre-determinato.

Mille anni come un giorno

La teoria si compone di due parti ben distinte. La prima – accettata praticamente da tutti e verificata sperimentalmente – asserisce che l’intervallo fra due eventi (supponiamo il tempo intercorso tra la fine della prima e l’inizio della seconda guerra mondiale) dipende dal sistema di riferimento dell’osservatore, in particolare dal suo moto e dalla sua velocità inerziale. Per il sistema terrestre, l’intervallo è di 21 anni; ma il tempo fra i due suddetti eventi si riduce per es. a 12,6 anni nel sistema di riferimento ai 240.000 km/s, a 21 mesi, 21 giorni o addirittura 21 minuti per chi si fosse mosso quasi a velocità-luce: ad es. per uno che, partito nel 1918, avesse fatto velocemente la spola fra Terra-Venere-Marte-Giove-Terra, e fosse rientrato nel 1939 (tempo terrestre), per lui il viaggio sarebbe durato i pochi mesi, giorni o ore suddette: meglio, l’orologio a bordo dell’astronave, una volta rientrato, avrebbe segnato ancora il 1918 o il 1919/20. Sul fatto che l’orologio atomico segni quella data, o una molto vicina, non v’è alcun dubbio! La verifica sperimentale, d’assoluta attualità tecnologica, è costituita dagli orologi in orbita del sistema satellitare Gps.

Ciò vale di qualsiasi osservatore (umano, alieno, ed ovviamente anche divino): se per un osservatore umano (che viaggi a velocità-luce) 21 anni possono diventare 21 secondi, così per un ipotetico essere intelligente extra-terrestre che fosse capitato dalle parti del sistema solare, ai suoi albori 4,5 miliardi di anni fa, facendo ad es. la spola a velocità-luce fra il Sole e Plutone, per lui i 4,5 miliardi di anni che separano la formazione della Terra dall’avvento dell’uomo potevano tranquillamente ridursi a 4,5 anni (avrebbe potuto assistere a tutta l’evoluzione chimica e biologica). Se vogliamo, come fa la teologia moderna, attribuire anche a Dio una qualche forma di tempo e di divenire, egli non ha dovuto “aspettare” 13 miliardi di anni (dall’epoca del big bang ai nostri giorni) per vedere l’alba dell’uomo: quei 13 miliardi di anni diventano come 13 anni per noi (questo varrebbe anche di un osservatore proveniente da un altro universo precedente al nostro). Dio è veramente il Signore dello spazio-tempo, in particolare del tempo: altrimenti l’espressione «Dio è il Signore» che significato conserverebbe oggi? Signore di che cosa? Abbiamo così individuato almeno un elemento significativo di questa signoria: Dio può assumere qualsiasi sistema di riferimento temporale, passando da uno all’altro, e di conseguenza accorciando o dilatando i tempi.

Il futuro è predeterminato?

Ma nella sua seconda parte la formulazione-standard della teoria della relatività ristretta (Trr) considera relativa anche la simultaneità di eventi spazialmente separati nel cosmo: e qui succede il finimondo. Non esiste un passato assoluto per tutti, come non esiste un futuro assoluto per tutti; ciò che per un osservatore è futuro, per un altro lontano può essere presente o addirittura passato, e viceversa. E soprattutto, anche se ciò non vale di eventi locali (per fortuna ciò non succede sulla Terra), ci sono infiniti presenti, non contemporanei e non simultanei: i presenti, gli «adesso» dei vari osservatori sono sfalsati, spostati in avanti o indietro l’uno rispetto all’altro. La Trr ci chiede di rinunciare all’esistenza di un presente cosmico universale, di un «adesso» valido per tutti: non posso considerare il mio presente come momento ontologicamente privilegiato fra tutti gli altri. Ossia, un evento che per un primo osservatore è futuro può risultare simultaneo con un altro evento che per un secondo osservatore è passato; detto in altre parole, l’evento futuro che sta per arrivare è come un evento lontano nello spazio: lontano fin che vogliamo, ma già esistente. In tal modo la simultaneità relativa conferisce realtà a tutto l’universo, compreso il futuro, che risulta quindi pieno, chiuso, iperdeterminato, già «presente» nella sua fetta di spazio-tempo che ci viene incontro, come se la vita fosse un libro già scritto o un film già girato. Il tutto naturalmente pregiudica gravemente il libero arbitrio (ma non tutti sono d’accordo che in tale quadro la libertà umana sarebbe un’illusione). Da qui l’amichevole accusa di Popper: «Einstein, sei come Parmenide». Abbiamo in effetti un universo rigido, in cui il cambiamento sembra un’illusione, come nella scuola eleatica (cfr il paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga). Infatti la concezione di Einstein può essere considerata un’estensione quadridimensionale di quella parmenidea: il reale è dato, fisso e immodificabile in 4 dimensioni, e l’impressione soggettiva di evoluzione è pura apparenza. Ma è, a dir poco, assolutamente innaturale immaginare la nostra vita come una successione di entrate nella nostra coscienza di fette di realtà preesistenti, ognuna costituita da un completo universo tridimensionale. In tal modo il futuro acquisterebbe lo stesso status ontologico del passato.

Proprio per questo sono nate le teorie alternative equivalenti (Tae): si è cioè cercata una opportuna riformulazione della teoria di Einstein, per permettere una più ragionevole descrizione del tempo, in particolare del futuro, senza scalfire minimamente l’ottimo accordo che è stato quasi sempre trovato fra le predizioni della relatività e i risultati sperimentali. Dato che la simultaneità è convenzionale, le Tae hanno cercato una simultaneità assoluta, poiché per ora le verifiche sperimentali non confermano né quella assoluta né quella relativa: sono quindi entrambe frutto di convenzione. Secondo le Tae abbiamo quindi anche un presente assoluto per tutto l’universo e per tutti i sistemi, per cui si evita l’universo tutto d’un pezzo alla Parmenide; il passato (ormai chiuso) e il presente sono reali, mentre il futuro è irreale, non ancora reale per tutti, quindi aperto, indeterminato, non ancora formato e da costruire liberamente. Ciò che è spazialmente molto distante e ciò che è temporalmente remoto (ma solo nel passato) hanno lo stesso status ontologico: vedere molto lontano coi telescopi equivale a vedere nel passato. Si evitano così tutti i problemi connessi con un futuro già dato e reale; in tale quadro si contesta quindi l’affermazione secondo la quale ciò che è spazialmente molto distante e ciò che è temporalmente remoto (compreso il futuro) abbiano lo stesso status ontologico, o, per dirla con Einstein, che la distinzione (ontologica) fra passato e futuro sia un’illusione, anche se ostinata.

Tanti «adesso», o uno solo?

Può essere quindi che tutto ciò non sia valido né per gli uomini, né per gli alieni, né per Dio: c’è un solo “adesso” per tutti che scorre in avanti. Il futuro è aperto, non ancora reale, irreale. Quindi nessuno può conoscere ciò che è irreale, ciò che non c’è, in particolare riguardo a ciò che (del futuro) sarà frutto di libere decisioni. Conoscere il futuro sarebbe quindi in sé assolutamente contraddittorio. Ciò che ancora non esiste, non esiste tout court, per cui non è conoscibile. Abbiamo perciò una prima possibilità: neppure Dio ha alcuna conoscenza del futuro, nessuna prescienza, perché ciò è logicamente impossibile, oltre al fatto di pregiudicare eventualmente il libero arbitrio. Anche la presunta (onni)potenza di Dio è sottoposta a restrizioni logiche di impossibilità (che sono ben diverse dalle impossibilità solo causali, quando cioè uno non ce la fa o non ci riesce).

Una seconda possibilità potrebbe essere quella di concedere di più a Dio, e nel contempo una certa parziale validità alla seconda parte della Trr. Comunque, a prescindere dall’opzione finale, l’infrastruttura filosofica della relatività è un ottimo e imprescindibile strumento per la concezione del tempo, non tanto per le tesi finali quanto per il rivoluzionario impianto concettuale. Come in relatività (2° parte) possono darsi pressoché infiniti presenti (dove ogni evento può appartenere a una moltitudine di «adesso»), così Dio può essere pensato come il Dio dei possibili infiniti presenti, il Dio vicino che appartiene ad una moltitudine di «adesso». Dio può, se vuole, assumere qualsiasi sistema di riferimento, e quindi sincronizzarsi e sintonizzarsi con i singoli momenti (date/eventi) dell’universo e della Terra (supponiamo l’anno che noi chiamiamo 2005, e che per noi è futuro). Sotto questo profilo non è esatto dire che Dio sa o conosce il futuro: primo perché lo può andar a vedere o conoscere (se vuole, in quanto potrebbe anche non volerlo; la sua sovrana libertà riguarderebbe anche questo), secondo perché per Lui è un presente. Non è esatto dire che «adesso» (per noi) Dio può andare a vedere il futuro 2005; così facendo, noi assolutizziamo il nostro «adesso», il nostro presente-astante. Dio invece si sintonizza col 2005 tout court, che per Lui è un presente-astante (comunque non un futuro). Solo per Dio, ciò che è spazialmente molto distante e ciò che è temporalmente remoto avrebbero lo stesso status ontologico. Ma dato che per Dio non esiste lo spazialmente distante (onnipresenza), non esiste neppure il temporalmente remoto, perché si può sincronizzare con qualsiasi punto-ora. Avremmo quindi una specie di onnipresenza volontaria, una onnipresenza libera nei confronti di tutti gli spazi-tempi possibili. Quindi per l’uomo lo spazialmente distante e il temporalmente remoto (ma solo nel passato) hanno lo stesso status ontologico, e perciò il passato, chiuso, reale, già determinato e immodificabile, è ontologicamente diverso dal futuro aperto, non determinato e irreale. Mentre per Dio tutto lo spazio e tutto il tempo potrebbero avere lo stesso status, per cui passato e futuro non sono ontologicamente diversi (sono entrambi reali; resta da vedere se anche chiusi e immodificabili oppure no; connessa con quest’ultimo aspetto è la questione se abbiano o meno anche lo stesso grado di realtà).

Mauro Pedrazzoli

(continua)



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