Quale Europa: vecchia o nuova?

Sotto quest’insegna si sono ritrovate le «piccole riviste» che a Erba, nell’autunno del 2002, avevano inaugurato la buona abitudine di ritrovarsi a parlare dei problemi di comune interesse, e soprattutto del modo di coniugare la morale del rispetto, della condivisione e della pace, che sta alla base della loro ispirazione, con situazioni nazionali e internazionali che sembrano destinare all’irrilevanza i loro sforzi e la loro stessa esistenza.

L’incontro di quest’anno si è svolto a Rho, nel popoloso hinterland milanese, dal 21 al 23 novembre, sotto le volte solenni del gran seminario degli Oblati di San Carlo, un’architettura testimone d’una chiesa cattolica d’altri tempi: grave, ricca e intimidatrice dei suoi nemici – tanti o pochi che fossero... Hanno partecipato all’incontro le seguenti testate: «Dialoghi», «Keshet», il foglio, «Il margine», «Mosaico di pace», «Il Gallo», «Tempi di fraternità», «Qol», «Il dialogo», «Il Gallo-Notam». Hanno aiutato a riflettere due relazioni introduttive: la prima di Luca Negro, segretario per le comunicazioni del Kek (Consiglio europeo delle Chiese), con sede a Ginevra, che ha disegnato la complessa geografia degli enti che, ad ogni livello, intrecciandosi e purtroppo anche sovrapponendosi, rappresentano interessi di Chiesa dentro la “nuova Europa”, quella di Bruxelles ma anche quella di Strasburgo e di Ginevra; la seconda di Alberto Lepori, giurista ed ex membro del Consiglio di Stato (giunta regionale) del Canton Ticino, sui lavori della Convenzione e sul progetto di Costituzione per l’«Europa dei venticinque» a partire dal 1 maggio 2004. Dentro questa cornice, la voce di due minoranze: Abdallah Kabakebbji e Mostafa El Ayoubi per i musulmani, Bruno Segre per gli ebrei.

La voce di due minoranze

Immigrato di seconda generazione, Abdallah Kabakebbji ha da poco lasciato la carica di presidente dei Giovani musulmani d’Italia. Nato in Siria ma cresciuto a Milano, ha descritto la scuola come «la casa-madre dell’integrazione», ma ha illustrato il suo disagio di cittadino italiano solo virtuale, perché il passaporto gli è stato negato con motivazioni speciose. Fortissimi problemi di identità hanno i giovani come lui, a cominciare dai rapporti con l’ambiente familiare, rimasto legato a modelli ormai estranei all’identità delle generazioni cresciute tra noi. Non è necessario tagliare le radici – dice – perché le cose essenziali, per un musulmano, non sono molte e sono compatibili con molti modelli di società: essenzialità e pluralità possono andare d’accordo. Abdallah esemplifica: la sharia – ossia la legge musulmana – non è intangibile, ma è vero che, attualmente, è determinata da società che ignorano pluralismo e modernità. Il confronto, che la grande immigrazione musulmana in Europa rende inevitabile, sarà positivo per lo stesso islam: anzi, potrebbero essere i musulmani dell’Occidente a “liberare” quelli dell’Oriente, affrancandoli da una concezione ossificata della loro religione. Ma i musulmani che credono in questa possibilità devono essere aiutati dagli europei. Il razzismo, sintomo di paura, dev’essere combattuto e superato.

Mostafa El Ayoubi è nato e cresciuto in Marocco ma risiede in Italia da tredici anni. Fa parte della redazione di «Confronti», il periodico inter-religioso diretto da Paolo Naso, e giudica «tempi cupi» gli attuali per l’emigrazione musulmana in Europa. Dice di non capire la situazione di angoscia con cui molti vivono il contatto con la minoranza islamica (da 800 mila a un milione di persone, attualmente, in Italia). È vero però che il dialogo, dove funziona, è limitato a un’élite, i musulmani stanno chiusi nei loro ambienti familiari e comunitari, sulla massa dei cittadini i mass media hanno un’influenza molto negativa. Anche Mostafa è del parere che nelle scuole si gioca il futuro della convivenza. Nei paesi di grande tradizione islamica, è giunta l’ora di affrontare il problema dell’interpretazione dei testi sacri. La situazione è per ora bloccata, ma il contesto europeo in cui il problema può essere posto da altri punti di vista è «una grande chance».

Dopo essere stati per 1900 anni una presenza significativa, gli ebrei si direbbero «usciti dall’Europa» – dice Bruno Segre, direttore di «Keshet». La svolta è stata determinata dalla shoah e dalla creazione dello stato d’Israele. Oggi, il ritorno alle radici cristiane che si rivendica in Europa ha un effetto ad excludendum. Il superamento dei nazionalismi deve avvenire invece con un ritorno ai valori dell’illuminismo. Il terrorismo sembra addirittura funzionale alla non-soluzione del conflitto israelo-palestinese. Ma, è vero, il progetto sionista (che era libertario e liberatore) con il tempo ha perso la sua innocenza. Bisogna dunque aiutare gli israeliani a recuperare il progetto originario, e aiutare gli arabi ad accettarlo.

Enrico Morresi


 
 
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