LA LEGGE PIÙ RESTRITTIVA D'EUROPA

Fecondazione blindata


La legge del Parlamento italiano sulla fecondazione artificiale, meglio sulla «procreazione medicalmente assistita», che è stata definitivamente approvata il 10 febbraio, si presta a tutta una serie di rilievi critici. Ricordiamo che in questa materia si procede argomentando sui principi, le condizioni, le intenzioni e le conseguenze, e non sulla base delle proprie emozioni; è quasi irrilevante che una tecnica artificiale, in particolare quella eterologa, mi susciti più o meno disgusto, se non riesco a dimostrarne l’illiceità morale.

Quattro principi basilari

La bioetica si fonda su quattro grandi principi, due assoluti e due meno vincolanti: il primo è quello di giustizia che, oltre a garantire un rapporto accettabile fra costi e benefici, dice che va perseguito il maggior bene (beneficio) per il maggior numero di persone. Ora i benefici della medicina e della chirurgia “normale”, o della diagnostica (macchine tipo Tac o risonanza magnetica), sono certamente maggiori della fecondazione artificiale, e soprattutto riguardano un numero ben più grande di persone; quindi 384 centri di fecondazione artificiale già esistenti in Italia ci sembrano più che sufficienti, senza doverne costruire dei nuovi per non sottrarre ulteriori risorse alla sanità pubblica che può avere ben altre priorità.

La legge italiana non ammette la fecondazione eterologa, con gameti (spermatozoi od ovuli) esterni alla coppia: è legittimo proibirla e sanzionarla con multe, o, nel caso della madre surrogata (popolarmente «utero in affitto»), addirittura col carcere? Lo sarebbe se venisse violato il secondo grande principio, quello di non-maleficità, che come quello di giustizia è assoluto e non negoziabile. Il male non si fa; quando una cosa viene giudicata tale, la si può/deve impedire e sanzionare, come l’omicidio, la rapina, la pedofilia: lo stato non può accettarle e regolamentarle. Ricordiamoci che stiamo parlando di una legge, cioè dell’etica applicata al diritto: non è sufficiente ritenere una cosa immorale (per es. l’adulterio) per impedirla con una legislazione proibizionista; per impedirla a tutti deve avere un grande spessore di male, riconosciuto in linea di massima universalmente, e un carattere pubblico altamente nocivo, non privato come ad es. l’adulterio. 

Chi decide che cos’è male?

Le faccende private sono in genere regolate dal principio di autonomia e di beneficità (il terzo e il quarto principio più relativi, che stanno un gradino sotto i primi due e, in caso di scontro con essi, devono cedere il passo), ossia la beneficità autonoma, in cui io decido il bene e cos’è bene per me (ad es. nella scelta degli amici, del partner, degli studi, del lavoro o delle cure) senza coinvolgere negativamente dei terzi e senza causare danni alla società.

Ma a chi spetta la decisione su cosa è male? E, nel nostro caso, la fecondazione eterologa è veramente così “malvagia” da impedirla a tutti con una legge proibizionista? Se così fosse, come mai è stata accettata e regolamentata in Olanda, Svezia, Spagna, Inghilterra e Stati Uniti? I fautori della legge italiana considerano la eterologa (nonché qualsiasi manipolazione dell’embrione) alla stessa stregua della pedofilia, nel senso che non è accettabile e regolamentabile da parte dello stato, diversamente dal divorzio e dall’aborto: facendo riferimento alla legislazione italiana, veramente la fecondazione artificiale eterologa (non ammessa) è più grave dell’aborto (ammesso)? Si può ragionevolmente sostenere che una tecnica procreativa, dunque volta all’avvento della vita, sia molto più grave di una tecnica abortiva che la vita la interrompe?

Nell’epoca moderno-contemporanea il male non può più essere definito autoritariamente dall’alto: nessuna autorità può farlo solo in forza del suo ruolo. Non lo si può fare nemmeno in nome della natura, e nessuna filosofia o corrente di pensiero può arrogarsi questo monopolio. Il male può essere deciso solo per consenso culturale universale, argomentando e dialogando, tenendo presente le varie correnti di pensiero, filosofie, etiche, morali, usi e costumi sociali, ma di tipo non fondamentalista e non integralista: perché quest’esclusione? Perché per entrare nel novero delle culture autentiche bisogna accettare il principio pluralista, che possiamo definire in uno dei suoi tanti possibili modi: diciamo «il rispetto della pari dignità dell’altro» (si tratta in fondo di una diversa formulazione sintetica dei primi due principi assoluti, quello di giustizia e quello di non-maleficità). Questo principio, che è il cardine e il fondamento di tutti pluralismi che ne derivano, non è a sua volta pluralistico, cioè non è ad libitum, a piacere, perciò è assolutamente vincolante e non negoziabile. È sulla base di tale principio iniziale e assoluto che non hanno diritto di cittadinanza nel novero delle culture umane autentiche il nazismo, il fascismo, il razzismo e più in generale qualsiasi forma di aggressione.

Possibilità della fecondazione eterologa

Ci pare di poter affermare che non esiste un consenso pressoché universale della pluralità delle culture (nel senso suddetto) sul fatto che la fecondazione eterologa sia un male così spesso da sanzionare in maniera proibizionistica; come non esiste tale consenso su una presunta maleficità consistente del divorzio, dell’aborto terapeutico e dell’eutanasia. In definitiva, perché non soddisfare il desiderio (che non è un diritto) di avere un figlio con tecniche artificiali se non vengono violati i principi di giustizia e di non-maleficità? Non ha molto senso ricorrere a forme proibizionistiche, se non forse nel caso della madre surrogata estranea e pagata, cioè colei che porta avanti la gravidanza in sostituzione della madre genetica: è una prassi ad es. esistente negli Stati Uniti (forse non in tutti gli Stati dell’unione), il cui pagamento tempo fa si aggirava sul centinaio di milioni di lire. La parziale eccezione degli Stati Uniti non toglierebbe un eventuale consenso pressoché universale su tale divieto (ma non è comunque una questione di maggioranza quantitativa secca). Diverso è invece il caso della nonna giovane o della zia (sia dalla parte del padre che della madre genetica) rispetto al nascituro: può anche non piacere, ma non ci sentiremmo di vietarla sia perché non c’è pagamento, e sia perché tali madri surrogate conserveranno il rapporto affettivo col nascituro.

Nella discussione parlamentare il motivo principale per vietare la eterologa risulta essere la tutela della famiglia, nel senso di impedire che un figlio possa avere due padri o due madri. Ma, a prescindere dal fatto che il figlio grandicello ne venga informato o meno, non è così anche nell’adozione? Anzi nell’adozione è peggio, perché quasi sempre c’è stato l’abbandono dei genitori naturali, mentre qui c’è semmai solo il “dono” del gamete, non molto diverso dal donare il sangue.

Vietata la selezione e la sperimentazione

La legge proibisce pure la diagnosi e l’eventuale selezione dell’embrione sano prima del reimpianto. Si prevede inoltre solo la situazione di sterilità/infertilità; supponiamo però il caso di una coppia feconda che abbia già avuto un figlio down o distrofico: si potrebbe ricorrere alla fecondazione artificiale per selezionare un embrione sano (non portatore della trisomia 21 o della distrofia). Cosa c’è di così malvagio, data l’alta ascendenza familiare della coppia in questione e delle percentuali di rischio ad es. del 50%, nel desiderio di avere almeno un figlio sano? Perché bisogna lasciar fare alla natura, quindi giocare alla roulette sulla salute del figlio venturo? Può essere saggio il fatto di non reimpiantare più di 3 embrioni, per evitare poi la “sgradevole” riduzione fetale nel caso che partano 5 o 6 gravidanze, escludendo quindi la selezione a valle; ma perché dover reimmettere tutti gli embrioni preparati (nel caso di tre, tutti e tre, in quanto non si può né sopprimere, né congelare alcun embrione, eccetto il caso di sopravvenuta impossibilità del reimpianto per le condizioni di salute della madre a procedura avviata) senza perciò alcuna selezione eugenetica negativa a monte, volta cioè a prevenire le malattie? Ci troviamo nella stessa situazione assurda già descritta: non si può né diagnosticare né selezionare un embrione, e quindi eliminare o congelare quelli scartati, ma nella prassi si praticano aborti alla 24ª settimana (6 mesi!) di gravidanza; se avvenisse un parto prematuro in tale periodo, la terapia intensiva neo-natale sarebbe in grado di salvare il neonato secondo determinati gradi di probabilità e di efficacia.

La legge vieta anche (art. 14) qualsiasi tipo di sperimentazione sull’embrione, se non per tutelare l’embrione stesso. Anche qui non ci sentiremmo di essere così drastici; un’ipotesi di lavoro, da vagliare, potrebbe essere la seguente (come propone B. Smith nel «Sole 24 ore» del 21 e 28-12-03): sperimentare in senso terapeutico e staminale nello stadio dello zigote, della morula, e della blastocisti, ma evitare la gastrulazione e la neurulazione (inizio della formazione del sistema nervoso) seguente, in pratica fino al 16° giorno. È con la gastrulazione che gli abbozzi degli organi vengono portati nelle loro giuste posizioni; che l’embrione cessa di essere un gruppo di cellule omogenee e si trasforma in una singola entità eterogenea, cioè in un essere vivente multicellulare, individuale, dotato di un asse cranico e corporeo, di simmetria bilaterale e delle sue superfici dorsali e ventrali, in grado di proteggere se stesso distinguendosi dal tessuto extra-embrionale. Con molta cautela si può individuare qui l’inizio dell’esistenza umana; ma non vogliamo darne una definizione ontologica di alto profilo, bensì solo individuare sul piano pratico un punto ragionevole da non oltrepassare, senza arrivare necessariamente alla prospettiva ebraica, secondo la quale senza reimpianto nell’utero e senza relativo annidamento non si dà alcun reale inizio dell’esistenza umana; è anche per questo che nella letteratura l’ovulo fecondato, fino al 14-16 giorno, viene spesso chiamato pre-embrione. Ciò permetterebbe probabilmente di disporre di cellule e tessuti di “ricambio” per gli organi malati, diciamo pure brutalmente dei “pezzi di ricambio”: se la cosa suscita una certa ripugnanza, ricordiamo che la natura lo fa continuamente col suo metabolismo; nel giro di alcuni mesi sostituiamo tutte le nostre cellule e tutti i nostri tessuti con nuove cellule, con la parziale eccezione dei neuroni cerebrali. Il nostro metabolismo è un continuo ricambio: se lo fa la natura, perché non possiamo farlo anche noi per un fine buono?

Un ultimo corollario: data la presumibile scappatoia, ovviamente per i più facoltosi, di recarsi all’estero, a legiferare in tutta questa materia non dovrebbe essere il parlamento europeo, che fra l’altro è più svincolato dall’ossequio a quelli d’Oltre-Tevere?

Laura Gandolfi


 
 
[ Indice] [ Archivio] [ Pagina principale ]