Homo sum (?)


Quella mattina dovevo spiegare Terenzio. Niente di più facile che partire dal celebre Homo sum, nihil humani a me alienum puto («sono uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo»), spesso usato (e abusato) per esprimere la necessità di un nuovo umanesimo.

Mentre vado a scuola in tram sfoglio «La Stampa» (31 gennaio) e trovo due articoli: uno, in prima pagina, con tanto di foto a colori, sul cannibale tedesco condannato a 8 anni per aver ucciso e mangiato un giovane ingegnere “consenziente” (aveva infatti risposto a un annuncio su internet che richiedeva la disponibilità a essere «macellato»), e uno, nelle pagine di cronaca, sul parroco della provincia di Torino accusato di aver molestato una bambina di 10 anni (poi ha confessato, qualche giorno dopo).

Faccio un corto circuito: quel verso di Terenzio potrebbe essere anche preso alla lettera. «Umano» ha due facce: quella alta, la vocazione a umanizzarsi, la tensione a realizzare l’immagine divina; e quella bassa, l’«umano, troppo umano» di Nietzsche. «Grandezza e miseria dell’uomo» (Pascal): non l’una senza l’altra. Terenzio forse vuol dire la prima, ma senza volerlo dice anche la seconda. Umano, in senso basso – bisogna dirlo! – è anche il modo con cui «La Stampa» e la stampa in genere racconta le miserie umane.

In entrambi i casi di cronaca si sfiora quel grande enigma o mistero che è la sessualità. Ma c’è un punto che mi inquieta, se possibile, ancora di più. Dato che questi di cui leggo sono uomini, e non anzitutto «mostri» – come in genere i mass media tendono a etichettare questi casi, quasi fosse sufficiente per esorcizzarli – mi domando: quanto della loro umanità c’è in me? quanto mi è estranea la loro condizione umana? Nihil humani a me alienum puto.

Antonello Ronca



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