È ufficiale: ormai la «Voce del Popolo», il settimanale diocesano torinese, è l’house organ della curia. Un paio di esempi di questo indirizzo della comunicazione intra-ecclesiale. Prendiamo la discussione sulla costruzione della chiesa del Santo Volto. Prima in grande evidenza la risposta ampia e articolata, con titolo su tre colonne e quattro righe, del direttore del settimanale, Marco Bonatti; poi sulla spalla destra, con titolo su due colonne e due righe, la lettera di don Carlo Carlevaris che solleva il problema (7 dicembre, p. 9). La risposta che anticipa (e sovrasta) la domanda, dunque: questa è saggezza, questo è incoraggiare la discussione. Oppure: un’altra lettera, questa volta sull’insegnamento della teologia nelle facoltà statali, di Franco Bolgiani. La tesi è, in sostanza: «Se in Italia, nemmeno nell’Università Cattolica di Milano, esiste una Facoltà di teologia, ciò è dipeso e dipende solo dalla opposizione della Santa Sede» (14 dicembre, p. 6). E che cosa dice invece il titolo? Esattamente il contrario: «Facoltà di Teologia in Italia: un’assenza con molte cause». Davvero un modo disinvolto di riassumere una tesi. Ma così, se il lettore un po’ distratto dovesse leggere solo i titoli, almeno non si fa brutte idee...
La «Voce del Popolo» sta alla curia come «Illustratofiat» sta alla fabbrica di automobili torinese. Bella scoperta, dirà qualcuno. È che avevamo pensato che la comunità ecclesiale fosse alternativa al mondo. Nel mondo ma non del mondo. Avevamo sentito parlare di parresia. Ci eravamo sbagliati.
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