Il mondo visto da un «vinto»

«Una famiglia di oggi mangia di più di dieci famiglie di allora messe assieme... Solo alla festa le scarpe, lungo la settimana portavamo gli zoccoli... In famiglia comandava l’uomo, la donna dava l’idea... Nel 1911 mi imbarcarono per la Libia, la sabbia che abbiamo mangiato là... Poi la guerra del ’15... Ha rovinato le famiglie, noi eravamo quattro sotto le armi, in campagna non c’erano più braccia, toccava alle donne lavorare... Io non ho mai sparato in guerra. Perché sparare? A volte mi davano l’ordine di sparare, quando ero di vedetta: piantavo il calcio del fucile per terra e sparavo al cielo, poi aspettavo che la pallottola tornasse giù. Lù cunus nen chiel-lì, perché maselu? («non lo conosco, quello lì: perché ammazzarlo?»)... Nel 1922 mi sposo e parto subito per l’Argentina... Nel 1927 siamo tornati, abbiamo trovato i fascisti, non andava mica bene. Mangiare polenta, era mai successo... Poi un’altra guerra, c’erano i tedeschi, i fascisti, i partigiani. Venivano i partigiani, eravamo con loro, venivano i tedeschi, eravamo con loro. Per chi teneva la gente? In alto sulle colline, per i partigiani, qui teneva alla pelle e basta... Oggi? Oggi non si conosce più il padrone dalla serva, c’è troppi soldi. Anche i preti non sono più come dovrebbero... Mah! Papa Giovanni era un papa umile, un vero contadino».

Questa testimonianza di Pasquale Roggero, nato a La Morra (Langhe) nel 1980 è stata raccolta da Nuto Revelli in Il mondo dei vinti, vol. II, Einaudi, pp. 123 ss. (passim). Quando si scrive così, di umanità, si scrive sempre la verità. Quando si accoglie, come Revelli ha sempre fatto, la voce debole degli ultimi, degli inascoltati, si fa qualcosa di grande, una di quelle azioni che spesso dubitiamo che esistano nel mondo e che servano a qualcosa, ma che, in realtà, salvano il senso della vita, salvano il mondo dall’assurdo. Non esageriamo: le cose più grandi sono nascoste nelle più piccole.



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