MEMORIA |
La giustizia, solo la giustizia |
Ricordiamo Bernardino Pozzi, collaboratore costante della redazione del foglio, a quasi quattro anni dalla sua morte (5 aprile 2000). Ci siamo incontrati per più di dieci anni, con un gruppo di amici, ad ascoltare il pensiero di Bernardino sul Vangelo della domenica successiva, e a condividere – tra di noi e con lui – i nostri tentativi, i nostri sforzi di ricerca. Lui conduceva con tono serio, nel senso che prendeva straordinariamente sul serio quello che c’è scritto nel Vangelo, ed improntava ogni riunione al suo modo tipico e personale di intendere la fede, che ha certamente segnato anche la nostra esperienza, mostrando una costante capacità di riferire a se stesso, sotto il profilo esistenziale, cioè in continuo confronto con la sua esistenza, qualsiasi parola di Gesù, ed una fantasia sempre viva nell’attualizzare, con diretto riferimento alla giustizia sociale, qualsiasi passo della Scrittura. Sono tante le frasi, i pensieri, anche le ansie, che Bernardino trasmetteva, e che io ho ancora impresse nella memoria, ma credo che una riflessione, in particolare, sia più viva di altre e la vorrei ricordare adesso. Si leggeva, nella domenica successiva, il Vangelo di Matteo, al cap. 25, sul giudizio finale. Parole ascoltate tante e tante volte, delle quali si percepisce, certo, la sempre attuale importanza, ma che a volte rischiano di risuonare fin troppo note, quasi scontate, almeno alle mie orecchie che, forse, hanno perso l’amore di un tempo. Bernardino, già malato, si guardava intorno con gli occhi profondi e seri che assumeva in quelle occasioni, e per metà della sua riflessione si interrogò su quel «Lontano da me!» E se lo dicesse anche a me? si chiedeva, davvero senza retorica. E se un giorno dovessi sentirmelo dire da Gesù? Era quasi insensato che si angosciasse così lui, il prete operaio, che aveva dedicato la sua vita agli altri, l’eremita di Cassano Valcuvia, che riusciva a vedere Gesù in tutti i fratelli, così mite da andare a cercare e rassicurare lo sconosciuto che lo aveva investito con la macchina, il giorno dopo l’incidente, per garantirgli che stava bene, perché non si preoccupasse di avergli fatto troppo del male. Eppure, dimostrava di provare davvero una sorta di autentica angoscia, davanti al rischio di essere, un giorno, non riconosciuto, a riprova della sua umanità nel prendere sul serio la parola di Gesù. Quanto io, e credo anche gli altri, ci siamo sentiti dei dilettanti, quella sera. Ma poi, a riprova che non si trattava di una semplice lettura intimistica (o, peggio, di un rigurgito devozionale) ha improvvisamente cambiato tono, chiedendosi perché, per quale ragione superiore, si deve dar da mangiare a chi ha fame, vestire chi è nudo, ecc.: per amore o per giustizia? E piano piano, con grande semplicità di ragionamento, ha cominciato a dimostrare che non è la carità, non è la bontà del cuore, non sono i nostri buoni sentimenti che ci devono portare ad aprire casa nostra agli stranieri o ai bambini senza famiglia, ma la giustizia, solo la giustizia. Non siamo buoni, a farlo, ma semplicemente restituiamo ciò che la giustizia ci impone di restituire, adempiendo ad una sorta di dovere al quale siamo tenuti, come un servo – appunto – è tenuto a servire il suo padrone. Com’era serio con la Scrittura, Bernardino, e com’era severo, quando c’era di mezzo la giustizia. Davide Petrini |