RACCONTO |
L'incidente |
Ci si ferma per vedere i danni: consistenti per A., di poco conto per l’altra macchina. La donna al volante ha fretta: deve andare a prendere il bimbo all’asilo. Invita A., un po’ scocciato, a seguirla. Fanno due o tre chilometri, almeno. A. poteva andarsene, ovviamente. Nessuno dei due ha preso i dati. La donna torna, con il figlio e un’amica, a sua volta con il figlio. Si compila il modulo. La donna vuole che A. ammetta esplicitamente il torto. A. si rifiuta: dice che se lui ha visto il verde della freccia significa che la donna aveva il rosso. E allora come ha fatto a venirgli dentro? Firmano ciascuno la sua versione. Ma la donna aggiunge nella sua parte che «A. ammette di aver torto». Si vedrà poi con l’assicurazione. Telefona l’assicuratore. Dice che A. firmando ha firmato la sua condanna: così si prende tutto il torto. A. difende la sua tesi: è vero che lui ha fatto una cosa scorretta, ma la donna aveva il rosso! Che sia scattato il verde proprio mentre lui si spostava? La donna doveva avere il fuoco nel sedere. L’unica è prendersi un testimone. Falso naturalmente, perché non si era fermato nessuno che avesse assistito. Sì, ma tanto lo fanno tutti. Anche la donna, che aveva preso come testimone l’altra mamma, quella dell’asilo. La favola mostra che a volte si può sbagliare (anche) cercando di fare del proprio meglio e la mamma non ha sempre ragione. A. ormai ai semafori rossi aspetta tranquillo, lasciando che dietro suonino il clacson quanto vogliono (se non c’è la corsia preferenziale). Lui non si sposta. Ascolta la musica. a. r. |