AFGHANISTAN |
Tra macerie e tende |
Carla Pessina, anestesista nell’ospedale di Rho, ha partecipato alla costruzione e alla gestione diretta di un reparto di terapia intensiva all’ospedale di Kabul di Emergency dove opera, come volontaria, da molti anni. Dopo tre mesi di attività, nella Kabul del dopo guerra, Carla Pessina è, da pochi giorni, rientrata in Italia. In una conferenza, organizzata insieme a Pax Christi, le abbiamo chiesto di rilasciarci un’intervista sulla situazione attuale dell’Afghanistan. Nella sua relazione Kabul è una città tra macerie e tende. È l’icona della situazione afghana del dopo guerra? Sicuramente macerie e tende rende bene ciò che sono oggi la città di Kabul e l’Afghanistan. Questo perché mancano le infrastrutture. Tante case sbriciolate sono state sostituite dalle tende. I rifugiati, con i rimpatriati, sono un numero imprecisato. Non esiste un’anagrafe in tutto il Paese. Questo significa che non sappiamo il numero effettivo degli abitanti in Afghanistan, quanti hanno lasciato il Paese, quanti sono tornati. Certamente la situazione attuale è di estrema precarietà, di pesante povertà assoluta nel paese. Non ci sono strade, scuole, non c’è energia elettrica, né acqua potabile, né impianti fognari, né rete telefonica nazionale. Le risorse sono poche, non c’è ricostruzione, non c’è ripresa di vita sociale. In sintesi: il futuro è molto buio. Una situazione simile a quella in Iraq. Il pretesto del burka Qual è la condizione della donna ? Il burka è stato tolto? Il burka non è mai stato tolto dalle donne. È stato usato più come scusa, pretesto, per iniziare la liberazione della donna da quella condizione di prigionia. In realtà il burka rappresenta una parte della storia delle donne afghane. È un copriabito che è stato imposto dai talebani, ma faceva parte integrante della storia delle donne. Le donne afghane non se ne liberano volentieri! L’imposizione ha creato la paura che, oggi, è diventato l’ostacolo che impedisce alla donna di liberarsi dal velo. La donna ha paura di essere presa nuovamente come bersaglio della cattiveria degli uomini. Ancora oggi tutte le donne afghane portano il burka, non è cambiato nulla. La condizione della donna è sicuramente di inferiorità rispetto alla storia sociale del paese, non è presente nella vita sociale. La donna è, invece, presente in quella famigliare: è la donna che gestisce la vita in famiglia. Tra le persone conosciute, ci sono stati incontri interessanti, belli e significativi? Persone interessanti si incontrano sempre, ma i bambini sono quelli che colpiscono maggiormente. Io ho incontrato molti bambini, soprattutto quelli malati. È difficile incontrare altre fasce sociali della popolazione perché, lavorando per Emergency in un paese in guerra, non è facile incontrare la popolazione nella propria abitazione, nella quotidianità della loro vita. Soprattutto per motivi di sicurezza. Ho incontrato tante persone malate e lavoratori che, con noi, operavano in ospedale. Persone splendide e cariche di umanità, sentimenti e voglia di vivere. Non è possibile citare un nome, una storia, perché tutte le persone incontrate hanno il loro nome, la loro storia, il loro volto, i loro occhi, la loro dolce accoglienza. Perché i talebani avevano tanta paura degli aquiloni dei bambini? Paura di volare alto, cioè di una fantasia che poteva diventare pericolosa? Forse, ma forse non c’è spiegazione, nel senso che la stupidità umana non ha una spiegazione. E, come tale, va presa e gestita. L’aquilone è un gioco che rende lieti, essere lieti significa vivere bene. Tutte cose che i talebani non volevano che la gente avesse. L’Afghanistan è famoso per i suoi campi di oppio, ma anche di campi disseminati di mine antiuomo. Come è la situazione? La situazione è drammatica. In Afghanistan si calcola che siano ancora presenti circa 15 milioni di mine inesplose. Non esistono delle mappe che possano rivelare la disseminazione di queste, per cui le opere di rimozione sono particolarmente lunghe e difficili. La presenza di questi ordigni, inoltre, limita notevolmente la possibilità di ripresa dell’agricoltura e della pastorizia per ovvie ragioni. Silvio Mengotto |