La morte tragica di Marco Pantani, uomo di vittorie poi caduto nello sconforto, può farci riflettere – messo da parte nel rispetto e nella discrezione il caso personale – sulla presenza della cultura del vincere nella nostra società. Alcuni psicologi dello sport osservano che reggere il peso del successo, la solitudine del primo posto obbligatorio, le regole della competizione assoluta, supera le forze umane, se non è accompagnato da grande virtù e umiltà, cioè da antidoto interiore al mito del vincere. Lo sport guerresco di oggi, senza regole limitanti, è immagine acuita della pervasiva cultura (vedi la pubblicità) che condanna a vincere. Chi non emerge è un perdente.
La felicità è rara sempre, ma è più probabile e stabile nell’insieme, che non nel sopra gli altri. L’ossessione del primeggiare ferisce la nostra necessaria dimensione relazionale, ci allontana da coloro di cui abbiamo bisogno, e loro di noi.
Competere divide, cooperare unisce. Forse per questo la nostra società competitiva è debole e dispersa, esposta alle autocrazie, e assai poco felice.
Pietà per le vittime, ignorate le più, adorate e sacrificate alcune. Pietà e meditazione per noi tutti.
E.P.
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