QUESTIONE FEMMINILE: NOVITÀ DAL SANT’UFFIZIO

Dalla natura alla storia biblica


Se è vero che qui da noi c’è oggi una specie di sprofondamento silenzioso del femminismo, la Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, documento della Congregazione per la dottrina della fede, ha il merito di riportarne in auge la problematica, con qualche interessante novità. Le prime due appaiono già all’inizio nell’introduzione: il fatto cioè di proporre riflessioni ispirate dai dati dell’antropologia biblica (e non più partendo da presupposti iper-naturalistici sull’ordine del creato, dalla legge naturale sino al diritto canonico), ed il fatto che tali considerazioni siano presentate come «punto di partenza per un cammino di approfondimento all’interno della Chiesa e per instaurare un dialogo con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nella sincera ricerca della verità e nel comune impegno a sviluppare relazioni sempre più autentiche». La lettera di Ratzinger da una parte è stata salutata come una innovazione sorprendente e dirompente, dall’altra come la riformulazione di posizioni assodate più o meno reazionarie; è comunque grave che dei celibi maschi si rivolgano ad altri celibi maschi (vescovi) trattando la donna dall’esterno e dall’alto come oggetto di una analisi, senza ascoltare esplicitamente le donne stesse: poi nel documento alcuni passaggi sembrano redatti da mano femminile (in particolare nella sezione dedicata all’attualità dei valori femminili nella vita della società), ma in modo subliminale e non dichiarato. In ogni caso la valutazione non è facile perché il testo contiene elementi sia positivi che negativi strettamente intrecciati, che ora cerchiamo di evidenziare.

La preoccupazione è il
femminismo...


Il documento ha un bersaglio dichiarato, ossia la frontiera più avanzata del femminismo nordamericano, il femminismo radicale di «genere» (gender theory, gender studies), secondo cui la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria. Ma fa riferimento a tale femminismo “radicale” come se fosse il fondamento della teoria femminista, mentre ne è stato solo una piccola corrente. E in tal modo non solo le posizioni nordamericane ma un po’ tutto il femminismo rischia di essere messo in caricatura, come un nuovo modello di «sessualità polimorfa» ridotta al proprio capriccio. La lettera quindi non dimostra una fondamentale comprensione delle teorie e dello sviluppo femminista; essa tace soprattutto sul femminismo cattolico, meglio sulle varie teologie al femminile, sulle letture della Bibbia al femminile (per fare alcuni nomi, Marinella Perroni, A. Valerio, C. Militello, M.L. Rigato, e la nostra amica, nonché collaboratrice occasionale del foglio, Maria Cristina Bartolomei); forse da esse prende qualche spunto, ma come fonti taciute, quasi nascoste.

Il testo ha però il merito di far suo e di porre al centro il pensiero della differenza sessuale, in opposizione all’emancipazionismo ad oltranza, ed al femminismo di parità indifferenziata ed antagonista. Si sottolinea la complementarità fisica, psicologica ed ontologica (scritta profondamente nell’uomo e nella donna), dando luogo ad un’armonica «unidualità» relazionale; emerge anche l’asimmetria fra i sessi assunta nell’uguaglianza e nella libertà.

I punti più deboli sono proprio all’inizio (par. I: «Il problema»), cioè nella breve presentazione e valutazione critica di alcune concezioni antropologiche odierne, che vengono estremizzate e radicalizzate per poi poterle facilmente combattere. Un esempio è costituito da quella antropologia che intende liberare la donna da ogni determinismo biologico, come nel punto I.3: «La radice immediata della suddetta tendenza si colloca nel contesto della questione femminile, ma la sua motivazione più profonda va ricercata nel tentativo della persona umana di liberarsi dai propri condizionamenti biologici. Secondo questa prospettiva antropologica la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale». Anche qui la posizione avversaria viene forzata in modo unilaterale («da ogni determinismo biologico, a suo piacimento»); manca ciò che è fondamentale: in cosa consisterebbe questa costituzione essenziale, quali sono le sue caratteristiche ancorate alla biologia, e fino a che punto può arrivare l’eventuale liberazione dal determinismo biologico? Se non si è precisi e profondi, in genere il rimando vago alla biologia (è forse un sostituto della vecchia natura?) oscilla fra una soggezione reazionaria ed un ancoraggio lucido alla natura umana.

Già Platone diceva che la natura umana non è sempre la stessa; si può quindi parlare di una «seconda natura» influenzata culturalmente, e frutto di un giusto processo di liberazione dalla subordinazione femminile soprattutto nel passato. Quando certe forme del passato permangono (come ad es. il fatto che la maternità fonda la donna, mentre la paternità rimane a lato dell’uomo, per cui si sottolinea per la donna, diversamente dall’uomo, il suo ruolo insostituibile all’interno della famiglia), sono molto meno appariscenti e scandalose di certi costumi patriarcali – come il burqa o il velo – ma tanto più durature e insidiose. Parlare di «seconda natura» non significa negare il condizionamento che la (prima) natura esercita tuttora sull’uomo, né relegare la biologicità in una specie di prologo preistorico dell’umanità; se certi dati biologici sono rilevanti in rapporto alle esigenze di felicità, lo è altrettanto lo svincolo da alcuni condizionamenti sia biologici che culturali.

...e non l’abuso degli uomini
sulle donne


Il testo continua: «Questa prospettiva ha molteplici conseguenze. Anzitutto si rafforza l’idea che la liberazione della donna comporti una critica alle Sacre Scritture che trasmetterebbero una concezione patriarcale di Dio, alimentata da una cultura essenzialmente maschilista. In secondo luogo tale tendenza considererebbe privo di importanza e ininfluente il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana nella sua forma maschile». Ratzinger finge di ignorare il fatto che tale concezione patriarcale si dà nella Scrittura, e che proprio la teologia biblica al femminile ha portato una critica costruttiva a tale impianto, rivelandone anche aspetti insospettati; il cardinale inoltre dovrebbe chiarire in cosa consiste tale presunta importanza ed influenza della forma maschile del Figlio di Dio. Forse la mascolinità di Cristo serve unicamente a fondare un sacerdozio/presbiterato solo maschile? (come vien detto più avanti: «in questa prospettiva si comprende anche come il fatto che l’ordinazione sacerdotale sia esclusivamente riservata agli uomini non impedisca affatto alle donne di accedere al cuore della vita cristiana»).

La parte migliore ci sembra il ripercorrere certi testi fondamentali della Scrittura per riaffermare alcuni dati capitali dell’antropologia biblica: dalla Genesi all’Esodo, dai profeti all’alleanza sponsale fra Dio e il suo popolo, al Cantico dei Cantici, che ammorbidisce l’asimmetria di grandezza fra Dio-sposo-fedele e umanità-sposa-infedele, dalla figura maschile del servo sofferente alla figura femminile di Sion, ed alla figura di Maria, vista finalmente nella sua femminilità (e non solo nella sua maternità o verginità). Ma per quanto riguarda Gn 1-11, la tipica vecchia ermeneutica di stampo cronologico rischia di (s)falsare il tutto: l’Eden non è un paradiso storico iniziale, ma semmai l’utopia futura a cui puntare; la cronologia storica fissa scorrettamente un incipit divino, naturale e assiologico, che legittima dei divieti, spesso reazionari, in materia di morale sessuale, di etica femminile della scelta, di autodeterminazione, anche procreativa. Si scivola immediatamente e pericolosamente dal piano del simbolico a quello descrittivo e prescrittivo (M.C. Bartolomei, in «Jesus» ottobre 2004). Si accenna anche (citando di striscio 1Gv 2,16) alla concupiscenza degli occhi e della carne; il cardinale però dovrebbe spiegare dove sta la differenza tra il desiderio amoroso, perno della relazione e della coppia, e tale concupiscenza negativa degli occhi e della carne.

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