CHIESE E MUSEI
Lo scialle del rispetto


Tempo d’estate è anche tempo di visita alle città d’arte. E, si sa, cumuli di tesori in Italia s’identificano con chiese o edifici religiosi: contenitori di opere d’arte ed oggetti d’arte essi stessi. Non di rado, soprattutto nelle città toscane, per accedervi occorre un biglietto. È giusto? È sbagliato? Certo il diritto di visione gratuita illimitata può suonare a stucchevole ruggito populista. Così come si paga per visitare un museo, non si direbbe una forzatura tirar fuori un paio di euro per entrare in Santa Maria Novella ad ammirare quel crocifisso di Giotto che fa i conti con la tradizione bizantina, o quella Trinità di Masaccio tanto fondamentale per la pittura europea, o, non troppo distante per valore, la mirabile abside con gli affreschi del Ghirlandaio. Correttezza vorrebbe poi che questi fondi rimanessero innanzitutto disponibili per il mantenimento delle opere medesime.

Comprensibile dunque la richiesta di denaro, inevitabile corrispettivo di quella, non secondaria, calamità che prende il nome di turismo di massa: mostro vorace che non procura meno danni delle soprintendenze corrotte. Equità vuole che le più alte realizzazioni dell’ingegno umano non vengano negate a nessuno, ma alla facilità di accesso è sotteso l’accelerarsi del logoramento. Migliaia di turisti al giorno che fiatano addosso a un dipinto medioevale o rinascimentale evidentemente lo consumano di più dei radi visitatori dell’origine. Quindi l’orda che distrugge per lo meno versi un obolo, e arricchisca chi di tali opere dispone.

Ma i luoghi di culto, pur accettando di porsi a totale disposizione del turista onnivoro, non per questo possono ammettere di venir meno alla loro prioritaria funzione religiosa. Da qui conseguente comunicazione che in chiesa occorre entrare con vestiti adeguati. Facilissimo perciò notare nelle chiese di Pisa o Firenze, ad esempio, inservienti bloccare i visitatori perché, causa maglietta eccessivamente scamiciata, mancano di rispetto al luogo consacrato. Dunque il turista è invitato ad andarsene? Certo che no, dal momento che con lui fuggirebbe via pure l’obolo. L’inserviente pesca in una scatola colma di scialli, e fornisce all’uomo, anzi più facilmente alla donna, copertura conforme: ora il rispetto è assicurato. Una classica questione di centimetri insomma; con esilaranti distinguo, che possono ricordare quelli della recente normativa francese sui segni ostensibili, si stabilisce che una manica pur cortissima, ma che non scopre del tutto la spalla, è rispettosa, un po’ di pelle in più no. Allora si potranno vedere, non necessariamente ragazzine con indumenti inguinali, ma signore con decentissime gonne sotto il ginocchio, fornite di maglie per nulla aderenti, però con quelle dannate spalle visibilmente scoperte, sollecitate a coprirsi con lo scialle del rispetto. Del resto girare con abiti un poco ristretti quando magari per strada il termometro fa il solletico ai trentacinque gradi, più che carenza di riguardo si direbbe necessità di sopravvivenza.

Il fatto è che, per non dire ipocrita, sembra decisamente risibile accettare che una chiesa si renda simile ad un museo, condiscenda ad una logica commerciale, per poi sindacare sui centimetri scoperti. Se si è museo valgono le regole del museo: ognuno compra un biglietto ed entra vestito come preferisce, purché non in mutande o in costume da bagno. In fondo quando a Pisa, per salire in cima a quello che fino a prova contraria resta il campanile di una cattedrale, viene richiesta la spropositata somma di quindici euro, è palese che si è abdicato ad ogni funzione religiosa per immergersi integralmente in un’ottica affaristica, il che, a voler moraleggiare un poco, assomiglia ad una mancanza di rispetto assai più di un pantalone troppo corto. Altrimenti se si ritiene che i villeggianti in canotta manchino davvero della decenza dovuta ad un luogo sacro, li si cacci via alla stregua di mercanti dal tempio, senza munirli con solerzia di scialle lasciapassare.

Massimiliano Fortuna




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