ETTY HILLESUM 1914-1943

«Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite»


Tutti conoscono Anna Frank. Anche Edith Stein, la filosofa, allieva di Husserl, fattasi carmelitana, da quando è stata proclamata santa nel 1998, è ormai conosciuta. Entrambe ebree tedesche, entrambe morte in campo di concentramento. Ma c’è un personaggio che visse in quegli stessi luoghi, il cui diario e le cui lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di più la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. È Etty Hillesum, un’ebrea olandese, non osservante, credente a modo suo, con un’intensa vita sentimentale, e un rapporto mistico con Dio. Morta 60 anni fa, nel novembre del 1943, a 29 anni ad Auschwitz, dove scelse di andare volontariamente, avendo la possibilità di fuggire, per «seguire il destino del suo popolo».

Una ragazza brillante

Esther – questo il suo nome “pieno”– nacque nel 1914 a Middelburg in Zelanda, Paesi Bassi, da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica. Il padre era un professore, poi preside di liceo. La madre era di origine russa, scappata dai pogrom. Una donna passionale, diversa dal marito quasi in tutto. La bella casa era quindi teatro di un matrimonio piuttosto tempestoso. Etty aveva due fratelli: uno diventerà medico, l’altro, Mischa, un pianista di talento. Etty è una ragazza brillante, intensa, con la passione della lettura e degli studi.

Nel 1932, Etty intraprese gli studi di diritto e di psicologia. Pochi anni dopo, nel 1940 i nazisti occupano i Paesi Bassi: il destino dei 140mila ebrei lì presenti è segnato. Il mondo interiore di Etty, però, non è dominato dalla minaccia della guerra: si potrebbe quasi dire che è la guerra a essere dominata da lei. È in questo periodo che Etty incontra Julius Spier, che diverrà il suo analista e il suo amante. Il suo rapporto con Spier nasce in veste psicoterapeutica ma si carica subito di una forte carica erotica. Questa relazione con un uomo più anziano, dalla forte personalità carismatica, nasce sbilanciata ma pian piano si consolida, restando un punto fermo nella vita di Etty. La sua esistenza, del resto, è piena di paradossi: ha avuto un’intensa vita di amori con gli uomini e un’altrettanto intensa vita spirituale. Nel periodo dell’“impazienza” Etty era infiammata da molte cotte non prive di sofferenza, sopraffatta da un temperamento possessivo, che non le lasciava amare qualcuno senza volersene immediatamente appropriare. L’ardore in ogni cosa e un totale spirito di libertà: due caratteristiche costanti della personalità di Etty. Tanto che Etty sentì di doversi imporre una disciplina, per reprimere l’«impazienza » che rischiava di dissipare le sue energie interiori e di distoglierla da una necessaria ricerca di senso.

Il diario di Etty

Dopo la resa del maggio 1940, i tedeschi iniziarono a poco a poco a isolare gli ebrei olandesi. Quando nel febbraio del 1941, fu indetto ad Amsterdam il primo sciopero anti-pogrom della storia europea, i nazisti inasprirono la repressione contro gli ebrei e contro ogni forma di resistenza da parte degli olandesi. Gli ebrei venivano cacciati dal lavoro, non potevano comperare nulla nei normali negozi e venivano maltrattati; furono creati i ghetti e i “campi di lavoro”. Il 29 aprile 1942 furono costretti a portare la stella di David: quella stessa primavera iniziarono le deportazioni di massa. Ed è proprio mentre una ragazzina di nome Anna Frank, nascosta in una casa a poche miglia di distanza, iniziava a scrivere il suo diario... che Etty comincia anche lei a tenere un diario, che passando di mano in mano verrà pubblicato soltanto nel 1981 (e in Italia nel 1985). Un grande successo, paragonabile a quello della sua più giovane connazionale.

La scelta di Westerbork

Il 15 luglio 1942, Etty trovò lavoro come dattilografa in una delle sezioni del Consiglio Ebraico. Il Consiglio si illudeva di poter salvare gli ebrei dal peggio, in realtà si trasformò in un’arma sottile nelle mani dei nazisti. Per 14 giorni Etty fece la spola, a piedi, tra casa sua e la sede del Consiglio, di cui parla come di un «inferno». Quello stesso mese, ad Amsterdam, ebbe luogo la prima grande retata, e Etty decise di sua spontanea volontà di andare a Westerbork con gli ebrei prigionieri. Non voleva sottrarsi al destino del popolo ebraico. Era convinta che l’unico modo di rendere giustizia alla vita fosse quello di non abbandonare degli esseri in pericolo, e di usare la propria forza per portare la luce nella vita altrui: «I domini dell’anima e dello spirito sono tanto vasti e infiniti che un po’ di disagio fisico e di dolore non ha troppa importanza, io non ho la sensazione di essere privata della mia libertà e non c’è nessuno che mi possa fare veramente del male». I sopravvissuti del campo hanno confermato che Etty fino all’ultimo fu una personalità «luminosa ». Dall’agosto 1942 fino al settembre 1943 Etty rimase a Westerbork e lavorò all’ospedale locale.

Morire cantando

Nel campo la comunità viveva nel terrore, sotto la continua minaccia del treno che ogni settimana deportava i prigionieri in Polonia. Gli amici di Amsterdam tentarono di convincere Etty a nascondersi, e una volta cercarono persino di rapirla; ma lei si rifiutò. Il 7 settembre 1943 lei, suo padre, sua madre e suo fratello Mischa furono caricati sul treno dei deportati. Nell’ultima lettera aveva scritto a un’amica: «Mi hai resa così ricca, mio Dio, lasciami dispensare anche agli altri, a piene mani. La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio. A volte, quando me ne sto in un angolino del campo le lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione e riconoscenza. Anche di sera, quando sono coricata nel mio letto e riposo in te, mio Dio, lacrime di riconoscenza mi scorrono sulla faccia e questa è la mia preghiera. Sono molto, molto stanca, già da diversi giorni, ma anche questo passerà, tutto questo avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe insegnare ad ascoltare... Io non combatto contro di te, mio Dio, tutta la mia vita è un grande colloquio con te». Da un finestrino del treno gettò una cartolina che fu poi raccolta e spedita dai contadini: «Abbiamo lasciato il campo cantando». Secondo il rapporto della Croce Rossa, Etty morì ad Auschwitz il 30 novembre 1943.

Cercare in noi stessi

La giovane Etty ci offre potenti stimoli di riflessione e soprattutto ci interpella a fare della vita un gesto di responsabilità. Ognuno è chiamato a rispondere di sé quando la marea dell’ingiustizia tende a travolgere l’umanità. Ognuno è chiamato a essere «balsamo per molte ferite», quando la convivenza è spazzata via dalla follia della discriminazione razziale. Una grande donna, da conoscere con la lettura – e perché no? – per cominciare a lavorare su di noi stessi: «E non vedo altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver fatto prima la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove». Ma Etty ci invita anche ad aprire la via a Dio per la redenzione del mondo: «Quanto sono grandi le necessità delle tue creature terrestri, mio Dio. Ti ringrazio perché lasci che tante persone vengano a me con le loro pene. Parlano tranquille e senza sospetti, e d’un tratto viene fuori tutta la loro pena, e si scopre una povera creatura disperata che non sa come vivere. E a quel punto cominciano i miei problemi. Non basta predicarti, mio Dio, non basta disseppellirti dai cuori altrui. Bisogna aprirti la vita, mio Dio, e per far questo bisogna essere un gran conoscitore dell’animo umano, un esperto psicologo: rapporti con padre e madre, ricordi giovanili, sogni, sensi di colpa, complessi d’inferiorità, insomma tutto quanto. In ogni persona che viene da me io mi metto a esplorare, con cautela. I miei strumenti per aprirti la strada negli altri sono ancora ben limitati. Ma esistono già, in qualche misura: li migliorerò pian piano e con molta pazienza. E ti ringrazio per questo dono di poter leggere negli altri. A volta le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e stanze, ogni casa è arredata in modo un po’ diverso, ma in fondo è uguale alle altre. Di ognuna si dovrebbe fare una dimora consacrata a te, mio Dio. Ti prometto, ti prometto che cercherò sempre di trovarti una casa e un ricovero. In fondo è una buffa immagine: io mi metto in cammino e cerco un tetto per te. Ci sono così tante case vuote, te le offro come all’ospite più importante. Perdonami questa metafora non troppo sottile».

Senza amarezza e senza odio

In questo passaggio di una delle Lettere, c’è tutta la sua passione per la vita e per la libertà: «La miseria che c’è qui è veramente terribile, eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce – non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare – e questa forza dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch’io una piccola parolina».

Antonello Ronca

Le opere di Etty Hillesum citate – Diario 1941-1943 e Lettere 1942-1943 – sono pubblicate da Adelphi anche in edizione economica.

 
 
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