Editoriale |
Nelle pagine dei giornali e sulla bocca dei politici e degli intellettuali che pretendono per sé il monopolio della rappresentanza culturale del vasto e variegato mondo cattolico, da qualche tempo ricorre l’accusa di anti-cattolicesimo. Al festival del cinema di Venezia vengono premiate due pellicole che pongono con estrema problematicità, ma in prospettiva difforme da quella sostenuta dalle gerarchie vaticane, temi esistenziali drammatici e di urgente attualità come l’aborto e l’eutanasia, e subito qualcuno vede il fumus persecutionis dell’anti-cattolicesimo. Al parlamento europeo la commissione giustizia esprime parere sfavorevole alla nomina del ciellino Rocco Buttiglione, già autodichiaratosi «filosofo papale», e l’«Avvenire» si straccia le vesti per il voto «schifoso» e per la palese violazione della libertà di opinione e della parità di diritti dei cattolici. (Questo complesso di persecuzione ha portato qualcuno a interpretare anche il film di Almodovar La mala educaciòn in chiave di anticlericalismo, quando il film è piuttosto l’ennesima variazione sul tema del cinema sul cinema caro al regista spagnolo). C’è da chiedersi se, di fronte alla difficoltà di affrontare il mare aperto del dibattito culturale e politico, il tradizionalismo cattolico, invece di reagire con gli strumenti della cultura e della politica, che pure non gli mancano, non abbia deciso di lasciarsi affogare, buttando sugli altri la responsabilità del proprio mortale immobilismo. Se si esaminano, anche rapidamente, i fatti non si può non cogliere una venatura di paranoia in tanto vittimismo. Cominciamo dal caso Buttiglione, che ha fatto alzare le grida oltre il tollerabile. Un ex-ministro del governo Berlusconi, che tanto ha fatto e fa per sottoporre la giustizia agli interesse del potere, anche personale, dei governanti, poteva essere ben visto dai deputati europei, che proprio per questo considerano la situazione politica italiana una pericolosa anomalia? Buttiglione lo ha subito riconosciuto. Il voto, ha detto, non è contro di me, ma contro Berlusconi. Solo dopo ha preso a bandiera le sue esternazioni sull’omosessualità come peccato e sul ruolo domestico della donna per affermare che non avrebbe mai rinnegato il suo cattolicesimo per una poltrona. Tutto questo giustifica l’accusa di persecuzione, rivolta dai cattolici doc alle istituzioni europee, di pregiudizi ideologici e fondamentalismo laicista? Ci pare proprio di no, visto il numero di politici cattolici chiamati a ruoli comunitari di prestigio e visto che nessuno è obbligato ad affidare incarichi pubblici delicati a chi non sa distinguere tra confessione religiosa e attività legislativa e dimostra totale mancanza di rispetto per i cittadini che hanno esperienze di vita e convinzioni etiche e culturali diverse dalle sue. Buttiglione, insomma, è stato considerato inadatto al compito di ministro europeo della giustizia non perché cattolico, ma perché longa manus di Berlusconi e integrista palesemente intenzionato a sostenere la corrispondenza tra morale vaticana e legislazione europea. Più sfumata, ma persino più allarmante, la posizione assunta da pastori e intellettuali cattolici tradizionalisti, nei confronti dei film che spingono al pensiero presentando e discutendo problemi personali e sociali di grande delicatezza, come aborto, eutanasia e disabilità. La rassegna veneziana ne ha proposti tre di buon livello cinematografico e di grande valore etico: Vera Drake, Mare dentro e Le chiavi di casa. Solo l’ultimo ha ricevuto buona accoglienza in tutti gli ambienti, compresi quelli cattolici ufficiali, per la semplicità e linearità con cui affronta il tema della presenza del dolore e della sofferenza nella vita e negli affetti. Gli altri due, filmicamente più complessi e narrativamente più drammatici, hanno suscitato reazioni diverse, forse anche perché più impegnati nella discussione e più problematici nelle prospettive proposte. Bene accolti dalla cultura laica e da quella del cattolicesimo critico, sono stati visti come un attacco alla tradizione cattolica, solo perché non accettano il rifiuto che essa da sempre oppone a qualsiasi soluzione giuridica non repressiva dell’aborto e dell’eutanasia. Anticattolico è per questi cattolici chiunque si permetta di considerare discutibile l’interpretazione che la chiesa romana ha dato e dà sulla pratica dell’aborto e sulla possibilità che un uomo colpito da un male incurabile ottenga, chiedendolo dopo matura riflessione, di porre termine alla sua vita. Un cattolico tutto d’un pezzo non argomenta contro queste tesi. Semplicemente non le vuol sentire e non vuole possano essere espresse pubblicamente e prese in considerazione. L’autorità è il vero fondamento del cattolicesimo reazionario e quanto l’autorità dice non può dar luogo a dibattito senza che essa venga messa in dubbio e dissolta, sia sul piano religioso, sia su quello politico. Anzi, soprattutto sul piano politico, che è l’unico a garantire un efficace controllo della società nel suo complesso. E non importa se per far ciò l’autorità religiosa deve mettere tra parentesi i principi della fede e appellarsi alla ragione e alla natura. Da tempo il cattolicesimo tradizionalista sa che non deve «lasciarsi ingannare dal fatto che ciò che la chiesa materialmente rappresenta è costituito dalla storia sacra e dal vangelo» (Carl Schmitt) e sa che per la morale vaticana la «natura», così come essa la interpreta, è la vera voce di Dio in terra. La natura con le sue leggi è, in quest’ottica, una sorta di entità metafisica divinizzata, che grazie alla ragione tutti possono conoscere e debbono seguire. Ecco perché Buttiglione, quando parla del suo credo cattolico, parla anche del suo programma politico. Ed ecco perché i deputati europei, sentite le sue esternazioni personali, le hanno percepite e respinte come intenzioni politiche. [ ] |