PALESTINA-ISRAELE |
La storia dell’altro |
Con la morte di Arafat, si riaccende il dibattito sul conflitto tra Israele e Palestina. Si aprono dispute tossicologiche: Arafat è stato avvelenato dal Mossad (visto che il governo Sharon non escludeva l’ipotesi dell’eliminazione fisica del leader palestinese)? O è stato avvelenato dai suoi avversari interni (visto che a Gaza hanno tentato di ripetere l’impresa con Abu Mazen)? Dispute aritmetiche sulla seconda Intifada: i 930 morti israeliani non sono nulla rispetto ai 3334 palestinesi – i 3334 palestinesi sono l’indesiderata conseguenza del terrorismo che ha causato i 930 morti israeliani. A quelli che pensano, come noi, che sulla vita umana non si possano imbastire contabilità comparative, e che in assenza di precisi elementi si può anche accettare come naturale la morte di un settantacinquenne, suggeriamo un’occasione per uscire dagli schemi contrapposti e imboccare l’unica, benché difficile, strada. Quella di rifiutare di fare il tifo per l’uno o l’altro dei contendenti, per capirne invece le ragioni e individuare le aspirazioni comuni a entrambi. L’occasione è la lettura di La storia dell’altro. Nel 2002 dodici insegnanti di scuola superiore, sei israeliani e sei palestinesi, associati nel Prime (Peace Research Institute in the Middle East) producono un manuale di storia con una originale struttura: tre momenti salienti – la dichiarazione di Balfour, la guerra del 1948, la prima Intifada - vengono descritti in parallelo, dai due diversi punti di vista. Il manuale viene stampato in arabo ed ebraico e adottato come libro di testo per settecento studenti. Tra ogni coppia di pagine, una colonna bianca, perché ognuno commenti ed annoti. A ottobre 2003 esce la versione italiana. Un singolare strumento di educazione al dialogo e al confronto: basta spostare lo sguardo da una pagina a quella accanto per leggere la visione dell’altro, appunto. Il libro va letto così, in parallelo, per il confronto immediato punto per punto, oppure a tutto campo, ma ben sapendo che alla lettura successiva scopriremo che questa non è l’unica, assoluta, interpretazione, ma ne esiste un’altra. Non basta: ci saranno sorprese anche per il lettore che già crede di conoscere i due punti di vista, perché così gli sono stati presentati da sempre, condizionati dall’apologetica e dalla propaganda. Non ci attardiamo in un riassunto, questa non è una usuale recensione, è un caldo consiglio alla lettura. Ci limitiamo a qualche esempio. Chi avrà scritto, da una delle due parti, che la dichiarazione Balfour nacque per «l’interesse della Gran Bretagna ad avere una testa di ponte in Medio Oriente»? O che «buona parte della responsabilità [dell’esito della guerra del 1948] ricadde sugli arabi e la loro classe dirigente»? Per quanto ampia sia la distanza tra le due parti, il dolore e l’orrore di fronte a fatti indiscutibili, riducono quella distanza. È lo stesso, profondamente umano, meccanismo che ha fatto riunire nel Parents Circle genitori di vittime del conflitto, ebrei e arabi insieme. Nascono così testimonianze identiche, indistinguibili, indipendenti dalla responsabilità della parte che le pronuncia. Dice un israeliano su Deir Yassin: «quando ricordo come furono portati al massacro mia madre, mia sorella e i membri della mia famiglia, non posso in alcun modo giustificare questa strage». E a proposito dell’attacco ad Akka (San Giovanni d’Acri) una voce palestinese ricorda che «fu una notte crudele, trascorsa tra il silenzio austero degli uomini e il pianto delle donne». Il libro porta la prefazione di Walter Veltroni, essendo l’iniziativa sostenuta dall’Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma, e di Pierre Vidal-Naquet, l’autore del saggio Il peccato originale di Israele. Gianfranco Accattino Per ulteriori informazioni, e per l’acquisto del libro: http://www.unacitta.it |