RICERCA DEI VANGELI /3 |
Chi sono i discepoli? |
Nella ricerca sul «Gesù storico» si sono dimostrati utili i criteri di attendibilità storica validi per ogni ricerca riguardante la storia antica (cfr il foglio 315). Lo studio che segue è tratto in gran parte (salvo diversa indicazione) da Meier, Un ebreo marginale, vol. 3, Queriniana 2003 (i numeri indicano la pagina da cui è tratta la citazione). È la chiamata che fa il discepolo È provata la storicità del fatto che Gesù abbia avuto discepoli durante la sua vita. La presenza della parola «discepolo» è massiccia nei vangeli: 233 volte in tutto. Ad eccezione di Atti (28 volte, però mai in riferimento ai discepoli durante il ministero di Gesù), la parola è assente dal resto del N.T. (49). Di conseguenza il termine «discepolo » nei vangeli non è da spiegare come un’anacronistica retroproiezione al tempo del ministero pubblico di Gesù del modo proprio della chiesa primitiva di parlare dei suoi membri. La parola discepolo in greco è ugualmente assente dai LXX, sia nei libri protocanonici che deuterocanonici (51-52). La parola è pure assente negli apocrifi e negli scritti scoperti a Qumran. Nelle opere di Filone e di Flavio Giuseppe la parola appare raramente e sempre per descrivere una situazione di «scuola». Fra gli elementi che caratterizzano il discepolato di Gesù spicca il fatto che Gesù chiama a seguirlo persone che non avevano preso questa iniziativa. Tale comando non tollera opposizione o ritardo, quali che siano le circostanze. Il termine discepolo appare solo dopo che Gesù ha preso l’iniziativa chiamando un certo numero di persone e solo dopo che di fatto esse lo seguono: non si instaura una relazione individuale ma si costituisce un gruppo intorno al maestro (66-69). Ciò distingue nettamente la chiamata da altri tipi di relazione fra maestro e allievo in cui sono le persone che cercano una guida spirituale e il rapporto è limitato nel tempo e non implica una sequela effettiva. La chiamata di Gesù si differenzia anche da quella del Battista che non chiama singole persone ma rivolge a tutto Israele una chiamata a pentirsi e a ricevere il suo battesimo. La grande maggioranza dei battezzati sembra sia tornata alle proprie case e pochi rimangono con Giovanni per qualche tempo (70). Inoltre occorre aggiungere che il desiderio sincero di seguire Gesù non è di per sé sufficiente: quando l’ex-indemoniato geraseno chiede a Gesù il permesso di stare con lui, egli non gli consente di seguirlo ma gli dice di riferire quanto era accaduto (Mc 5,18-20) (73). Imbarazzante, discontinuo (e quindi probabilmente storico) è il singolare fallimento della perentoria chiamata di Gesù al giovane ricco (530). Lasciare tutto Seguire Gesù come suo discepolo significa lasciare alle spalle la propria casa, i genitori e i mezzi di sussistenza. Sono significativi i casi presentati in Lc 9,58-60 e Mt 8,19-22. Secondo Barbaglio (Gesù ebreo di Galilea, Edb 2002, pp. 374-78) seguire Gesù vuol dire condividerne la condizione di vagabondo, persona senza fissa dimora, apolide, cui la saggezza giudaica (Sir 36,28) nega qualsiasi fiducia. Il detto ha tutti i crismi dell’autenticità storica se si pensa che nella chiesa dei primi tempi Gesù è stato descritto come un perseguitato e un condannato, mai come un vagabondo. Il fatto che non si renda nota la risposta ci dice che l’interesse cade tutto sul radicalismo dell’esigenza. Nel secondo detto il rifiuto di permettere di seppellire il proprio padre va contro il quarto comandamento e contro tutto l’ethos comune della civiltà mediterranea. Anche il passo diLc 14,26 «chi non odia padre e madre» si inquadra nel contesto dei seguaci che avevano abbandonato la famiglia e si dimostra, con tutta probabilità, gesuano. Un’abbondante, molteplice attestazione di fonti, indica che Gesù di fatto avvertì i suoi discepoli del costo violento e probabilmente fatale della sequela (77). L’abbandono della famiglia e del lavoro per un periodo indefinito significava rinunciare ai legami che assicuravano il sostegno emotivo e finanziario, in una società fondata su onore e vergogna (98). Secondo Marco (3,20-35) c’era una tradizione secondo cui la famiglia di Gesù non credeva nella sua missione durante il suo ministero pubblico. La madre e i fratelli giungono a vederlo solo per essere respinti e i suoi famigliari sono disposti ad afferrarlo perché pensano che sia diventato matto. Anche Giovanni fa notare che «neppure i suoi fratelli credevano in lui» (Gv 7,5). Sia Matteo che Luca tendono ad attenuare lo scandalo ed è difficile che la chiesa primitiva abbia cercato di inventare una calunnia diffamatoria su Giacomo, la madre e gli altri fratelli di Gesù. Di fatto gli ammonimenti indirizzati dal Gesù storico ai suoi discepoli sulla sofferenza e sui conflitti derivanti dalla perdita dei legami familiari potevano riflettere la sua triste esperienza (98-106). Abbandonare ogni pretesa di purezza Spesso un gruppo che vive un ethos radicale intorno a un capo carismatico ha confini rigorosi. Sorprende quindi una pratica caratteristica di Gesù: tenere aperta la partecipazione a mensa per estranei, anche per i malfamati esattori delle tasse e per i peccatori. A questo gruppo radicale si insegna a essere radicalmente aperto agli altri, anche a quelli al di fuori da ogni norma (109). Ma “peccatori” lo erano tutti, a cominciare dal gruppo speciale di dodici uomini che costituivano una cerchia più stretta intorno a lui. Questo gruppo ha una base storica, poiché, se fosse sorto nei primi tempi della chiesa, ci si aspetterebbe che la storia della prima generazione cristiana fosse piena di esempi della presenza e dell’attività dei dodici nella chiesa, quando invece è l’esatto opposto e a poco a poco i riferimenti ai dodici diminuiscono fino a diventare assenti (165). La scelta di dodici uomini israeliti fra i suoi discepoli per costituire un gruppo speciale doveva, agli occhi dei suoi aderenti, mettere in moto la raccolta delle dodici tribù, ancora prima che questi dodici facessero effettivamente qualcosa (176). In Mt 19,28 abbiamo una profezia non realizzata: «voi siederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele». Giuda, benché fosse uno dei dodici al tempo dell’ultima cena, non persevererà fino a essere uno di quelli seduti sui troni ed è per questo che Luca (22,30) omette il numero dodici per eludere l’imbarazzo di presentare Gesù che pronuncia una profezia che non si è verificata per uno di loro (149-151): il detto è attribuibile perciò al Gesù storico. Il tradimento di Giuda risulta infatti qualcosa di estremamente imbarazzante e la chiesa primitiva fece del suo meglio per trovare alcuni testi veterotestamentari che potessero fungere da profezia della tragedia (161). Fra i dodici emerge la figura di Pietro presentato come il portavoce dei suoi colleghi e forte della tradizione che egli fosse stato il primo a vedere il Gesù risorto. Inoltre sembra che durante il ministero pubblico Pietro abbia fatto una straordinaria professione di fede in Gesù. In Matteo troviamo la famosa promessa di Gesù a Pietro: sarà la pietra su cui Gesù edificherà la sua chiesa. Ma la parola «chiesa» appare solo in altredue ricorrenze in Mt 18,17 in cui si riflette la disciplina della chiesa primitiva. Inoltre in Mt 16,18 non appare un riferimento a una chiesa, ma alla chiesa di Gesù. È difficile immaginare un tale uso sulla bocca del Gesù storico e seri argomenti militano fortemente a favore della provenienza del passo dalla comunità primitiva (252-54). È invece probabile che sia storico il successivo rimprovero di Gesù a Pietro come Satana. Infatti è difficile vedere questo rimprovero come una creazione di una fazione antipetrina nella chiesa primitiva (261). Per le stesse ragioni è probabilmente storica la tradizione del rinnegamento di Pietro (272). Ma il giudizio più tagliente nei confronti di quelli che si sottrassero alla chiamata e perciò si mostrarono inadatti al Regno (tutti!), lo abbiamo nel laconico detto di Marco all’arresto di Gesù: «Tutti allora, abbandonatolo, fuggirono» (Mc 14,50). Essere discepolo significa essere ancora un peccatore, solidale con gli altri peccatori. Dario Oitana |